Saluber Jazz Festival fa volare le persone
24 giugno 2025
Il jazz in azienda e il sogno di far volare le persone - il Saluber Jazz Festival raccontato da Ernesttico
Cosa accade quando la musica jazz incontra la vita quotidiana degli operai, la visione di un imprenditore e l’anima di un artista? Nasce un festival, ma non un festival qualsiasi. Il Saluber Jazz Festival è un viaggio musicale e umano, che parte da una piccola azienda bresciana e arriva — davvero — in tutto il mondo.
Ne abbiamo parlato con il suo direttore artistico, Ernesttico, musicista, produttore e uomo profondamente convinto che l’arte possa cambiare il modo in cui viviamo. E soprattutto, come ci relazioniamo agli altri.
Un festival che parte dall'essere umano
«Se dovessi descrivere il Saluber Jazz Festival in una sola nota? Non ci riuscirei. Perché la nota che più lo rappresenta è quella dell’essere umano» ci racconta con passione il direttore artistico. «È nato da un’idea di Ciro De Amicis, imprenditore con una sensibilità rara, che ha voluto donare ai suoi lavoratori e al territorio qualcosa di più del semplice intrattenimento: un’esperienza culturale, un gesto di benessere condiviso».
Lui, che ha suonato nei luoghi più impensabili — come a 1500 metri da dove esplose il reattore di Chernobyl — ha subito abbracciato l’idea: «Portare la musica dentro un’azienda non è nuovo, ma farlo con questa visione sì. Io ho cercato solo di abbellirla, renderla spettacolare, darle una struttura».
Un biglietto per un viaggio intorno al mondo
Ogni edizione del festival è un viaggio musicale globale: «Le persone vengono, prendono posto, e in 72 ore fanno un giro del mondo — simbolicamente — attraverso la musica. È gratuito, è aperto, ed è pensato per trasportare chi ascolta non solo tra i suoni, ma anche tra culture, emozioni, messaggi sociali». Per lui non si tratta solo di jazz: è uno scambio di umanità.
Anche la scelta degli artisti non è casuale: da Jany McPherson a Di Rotta su Cuba, ognuno è parte di un mosaico coerente, emotivo, internazionale. «Mi piace pensare che ogni artista sia un passaporto per un continente, per una sensibilità diversa».
Da artista a direttore artistico
Quando gli chiediamo come sia passare dall’altra parte — da artista sul palco a organizzatore dietro le quinte — sorride: «Sono un cubano atipico, arrivo sempre in anticipo. Ho sempre avuto questa cosa per l’organizzazione. E con gli anni ho capito che potevo mettere insieme le due anime: quella creativa e quella operativa».
Nel tempo ha diretto festival in tutta Italia, da Roma a Sanremo, sempre con lo stesso spirito: «Offrire all’artista un luogo dove esprimersi e al pubblico un’esperienza impeccabile».
Un sogno che va oltre
Il sogno per le prossime edizioni? «Concepire un luogo fisico, una casa del festival. Una location stabile dove ogni anno, quando le persone arrivano, possano staccare la testa e volare. Un luogo dove arte, musica, emozione e purezza si incontrano». L’ispirazione gli è arrivata anche da un recente viaggio in Romania: «Ho visto con i miei occhi quanto le persone siano affamate di musica sincera, di bellezza. Ed è questo che voglio portare».
I momenti che segnano una carriera
Parlando dei momenti che gli hanno cambiato la vita, cita senza esitazione l’incontro con Pino Daniele nel 1995: «Mi chiamò per il suo tour. Fu uno sbalzo culturale, musicale e umano. Ero abituato al mio mondo latino, e lui mi fece vedere la musica da una nuova prospettiva. Da lì imparai a rivedere persino il mio modo di usare le percussioni». Grazie a Pino arrivò a suonare con giganti come Peter Erskine, e a capire quanto valore avesse la persona dietro l’artista.
Cultura come autententicità
E oggi? Cosa dovrebbe restituire la cultura alla società?
«La cultura siamo noi. È il modo in cui viviamo, come parliamo, come amiamo, come lavoriamo. Non serve una direzione unica, servono persone autentiche. Se ognuno resta fedele a se stesso, la cultura si genera da sola». E in un’epoca di omologazione, è un messaggio che vale più di qualsiasi slogan.
Ultimi battiti
Gli chiediamo in chiusura: un artista che sogni di portare al festival?
«Tutta Cuba. Perché nonostante le difficoltà enormi, c’è una potenza culturale che merita di essere conosciuta in Europa. Mi piacerebbe che il pubblico italiano toccasse con mano questa forza».
E a chi gli augura di realizzare questo sogno, risponde con umiltà: «Ho 36 anni di carriera, ho imparato tanto. Credo di potermelo permettere. Ma soprattutto, lo faccio per gli altri: per farli volare. Anche solo per un concerto».
di Giorgia Pellegrini
Foto ufficio stampa
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