CARBON VEGETALE E ALTRE MODE ALIMENTARI

27 agosto 2017

di Mauro Santomauro*

Lo confesso: sono un convinto mecenate degli artisti che creano dolci delizie per il palato.
Mi riferisco agli scultori del pasticcino, agli iperrealisti della cassata, ai cesellatori della bavarese, ai verseggiatori del cioccolato, ai prosatori del babà e - come dimenticarli - ai cantori della fregolotta. Non lesino denaro per acquisire i loro capolavori, ricompensando adeguamente questi illuminati artigiani della gola. Mi ritengo un vero cultore e venero, senza ritegno, quella che dovrebbe essere universalmente considerata la decima musa: “Licneia”, la dea benigna che protegge le “cose ghiotte” e i suoi estimatori.

Ma a tutto c’è un limite: così come non darei un soldo alla scatologica “Merda di Artista” “prodotta” a beneficio dei posteri da Piero Manzoni e non mi appassionerei per la diuretica e fortunatamente perduta “Fontana” - l’orinatoio del dadaista Marcel Duchamp -, parimenti non amo le stravaganze, fatte solo per vendere, e le mode effimere, nate per abbindolare.
L'ultima follia in campo gastronomico-dolciario a cui, mio malgrado, ho assistito qualche tempo fa, riguarda l'uso del carbone vegetale nella preparazione di pane e dolci, biscotti e brioches e chipiùnehapiùnemetta.
Un giorno, mentre nel mio bar preferito mi accingevo a celebrare il mio appagante e sacro rito mattutino, concedendomi un sontuoso cappuccino, mirabilmente sposato ad uno sfogliante cornetto ricolmo di soffice crema, attonito, - ma sembravo l’unico ad esserlo nel locale – ho visto il pasticciere compiere un gesto che mi ha letteralmente impietrito. L’insano aveva appena sfornato un cumulo di fagotti escrementizi, neri come la pece, che sembravano appena usciti dal forno di Belzebù. I più piccoli, esposti in bella vista su di un vassoio, parevano le ceneri e i lapilli che ricoprirono Villa dei Misteri a Pompei dopo l’eruzione del Vesuvio.
Notando il mio viso terreo, l’infame pasticciere – che fino ad allora avevo considerato il mio super-eroe preferito, dotato di incredibili poteri dolciari - si sentì in dovere di spiegarmi che quelle “cose” erano i nuovi, salutistici prodotti a base di carbone vegetale, elaborati secondo i nuovi dettami della moda.
Giunti a questo punto, urge che io faccia, a beneficio degli inesperti, una breve digressione chimico-fisica.
Contrariamente a ciò che potrebbe far pensare il nome, il carbone vegetale non si trova in miniera. E’ottenuto, invece, dalla carbonizzazione ad alta temperatura e in assenza di aria, del legno di salice o di pioppo ed è noto, sin dall'antichità, per le sue proprietà assorbenti che ne fanno un "antidoto" universale in caso di avvelenamenti e per la cura efficace delle flatulenze e le aerofagie.
Inoltre, fa diventare nere le feci di chi lo ingurgita.
E già questo particolare ributtante dovrebbe disgustare il goloso lettore goloso, quanto il mistico seguace di Licneia.
Per completezza e in memoria del mio antico passato di speziale, aggiungerò che, se siete affetti da disturbi intestinali, acidità gastrica, alitosi, borgorigmi e altre fastidiose ed imbarazzanti emissioni gassose che fuoriescano dal vostro corpo, - credetemi - il carbone vegetale è un vero toccasana!
È corretto dire, quindi, che la sua collocazione naturale sia la farmacia. Sennò che ci stanno a fare i farmacisti?
Ma utilizzarlo per rovinare dolci e prodotti da forno, davvero no! Questo è un vero abominio!
Ed è proprio questa la parola che ho usato, sbraitando ed inveendo, rampognando e sacramentando, nel momento in cui ho abbandonato la pasticceria fedifraga, in preda allo sconforto più profondo. Non prima, però, di aver scagliato temibili anatemi all’indirizzo del proprietario.
A mente fredda poi, ho realizzato che quella della “carbonbrioche” non è altro che una delle tante mode effimere che agitano, periodicamente, il mondo eccentrico dei salutisti.

Animati da un fervore mistico, emuli del famoso esploratore spagnolo del XVI secolo Juan Ponce de Leon che andò, invano, alla ricerca della mitica “Fonte dell’Eterna Giovinezza, queste torme di consumatori in pena sono fragili prede di informazioni pseudo-scientifiche che un giorno additano il tale prodotto come indispensabile salva-vita ed il giorno dopo lo ostracizzano come insidioso veleno. Sempre secondo costoro, ingurgitare alimenti esotici, originati da sperdute regioni dell’Amazzonia, coltivati su impervie catene andine da discendenti degli Incas, descritti già negli antichi papiri del Mar Morto ed il cui uso viene tramandato oralmente da seguaci di esoteriche filosofie orientali, è un sicuro viatico per la salute e per il benessere psico-fisico di chi se ne alimenta. 
E di solito, si tratta di prodotti dal sapore indescrivibile o del tutto assente.
Non mi metterò ora a contestare queste credenze: sarebbe come negare la transustanziazione del corpo di Cristo nel pane e nel vino, o la verginità della Madonna davanti ad un teologo. Così come spiegare ad un fervido divoratore di oroscopi che le costellazioni visibili dalla Terra sono tredici e non dodici. Oppure, ad un seguace dell’omeopatia, svelare che ha pagato a peso d’oro semplici palline di zucchero prive della benché minima proprietà terapeutica.
Non si può ribattere, con la logica, alla fede di un credente…Non se ne esce indenni.
Tuttavia, lasciatemi fare almeno un ultimo tentativo per portare un po’ di luce in chi non ha, ancora, smarrito il senso della ragione e del gusto.
Vi faccio, perciò, una semplice domanda: avete mai provato l’incredibile esperienza di assaggiare un tiramisù vegano?
Solo chi ha visitato Guantanamo può descrivere torture fisiche e patimenti psicologici equiparabili a quelle subite da chi ha esposto le proprie inermi papille gustative a tale prova...
Ciònonostante, siamo ormai accerchiati da prodotti che si professano vegani, salutistici, salvifici, portatori di benessere eterno e paradisiaco. Come ostie consacrate. E, come tali, appunto, senza sapore.
Naturalmente, tali delizie non contengono zucchero, sono carenti di sodio, privati del glutine mortale – anche se i veri celiaci, in Italia, sono meno di 100.000 - non hanno una goccia dell’ aborrito olio di palma, sono depauperati degli infami grassi insaturi, dichiarano zero di colesterolo e - dulcis in fundo - risultano senza aromi.
Il prodotto ideale, dunque, sarebbe una bella confezione…vuota.
Perché continuiamo a farci male perdendo il gusto del bello e del buono, convinti di farlo per la nostra salute? Siamo proprio convinti, in nome di un’alimentazione virtuosa, che qualche stravizio e qualche rischio siano proprio così insostenibili?
Sarebbe come se una bellissima donna/ uomo vi offrisse di passare assieme una notte infuocata di piacere e passione e voi, giunti al dunque, vi limitaste a qualche bacetto, perchè ritenete che troppo sesso potrebbe farvi male alla salute…
Tornando al carbone: prima di abbandonare in modo drammatico il locale, ho chiesto al mio ormai ex pasticciere se avesse stipulato una buona assicurazione che lo proteggesse dalle cause per danni intentategli dai suoi clienti. Lui mi ha guardato perplesso.
Gli ho spiegato allora, pazientemente, che il carbone, assunto non lontano da farmaci come quelli per l'ipertensione, l’ ipercolesterolemia, o gli antibiotici e persino la pillola antifecondativa, ne riduce l'assorbimento e quindi l'effetto.
Cari pasticcieri alla moda, se non volete rischiare che qualche giovane cliente, infuriata, possa portarvi in negozio il "frutto" imprevisto di una colazione al carbone, date retta a me: continuate a sfornare dorate delizie e lasciate stare mode e salute.
Voi servite a rendere il mondo dolce e godurioso, non nero ed insipido...

 

*MAURO SANTOMAURO è l’autore di:
“THERIACA”, edito da Ferrari e presente in tutte le librerie, http://www.ferrarieditore.it/shop/libri/theriaca/
“IL DOPPIO DELL’ASSASSINO”, Libromania-DeAgostini ebook (anche in versione stampabile su Amazon) www.amazon.it/doppio-dellassassino-Mauro-Santomauro-ebook/dp/B01704PPM6

 

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