Pablito, 1981 e dintorni10/12/2020

Memoria per Pablito, 1981 e dintorni

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Pablito, 1981 e dintorni10/12/2020

di Francesco Alessi
 
La foto con la maglia biancorossa, prima ancora che si chiamasse Vicenza. Lanerossi Vicenza, come ancora si chiamava allora. Campionato iniziato nel 1981, grosso scandalo calcio scommesse. Scoppia un putiferio mediatico gli "Oohh" di riprovazione generali, sempre di moda fino a quando quelle stesse accuse non te le ritrovi cucite sulla pelle, accusato di chissà che cosa forse non riesci nemmeno a capire chi e cosa ha interesse a colpirti. Sei lì in mezzo e qualcosa ti colpisce senza che tu possa farci niente. Come i passeggeri sull'aereo di Ustica, come i passeggeri in attesa alla stazione di Bologna, due estati prima di questo autunno del 1981. I fotogrammi si spostano a qualche mese prima, alla tragedia di Vermicino che ci aveva tenuti incollati allo schermo oer diversi giorni. Un lutto nazionale, succedesse oggi in piena pandemia, poche righe svogliate. L'oratorio, due passi da casa, sempre pronti a giocare a qualcosa. Controvoglia però, il Super Santos costava 100 lire e io non facevo facilmente comunella. Morale: mi fregavano sistematicamente il pallone dopo due tre calci. Così rintanato in sala lettura ero diventato oggetto delle foto di don Antonio Ierano' da Reggio Calabria, responsabile dell'oratorio che poteva così dire che li' non si giocava solo a pallone, ma "anche si leggeva..." e lì era quel poster alto e grande a dire qui a Palermo tu Paolo Rossi da Prato, nato nel '56 omonimo dello studente, di quel primo studente morto ammazzato nel '66 nel corso di incidenti alla Sapienza e decantato da Venditti in una famosa canzone, per noi non sei colpevole di nulla. Sei un grande giocatore e basta. Magro, forse anche un po' tanto, il fisico asciutto e il sorriso ingenuo, da brava persona, non tradiscono né oggi né allora. Tu stesso lo hai ricordato in un tuo libro, forse illuminante oltremodo e relativo al fatto di quanto sia facile a volte finire stritolati in un meccanismo perverso senza che tu abbia fatto nulla per crearlo, per porlo in essere. La pigrizia dell'etichettamento avrebbe indotto molti altri a cadere nel tunnel della droga o dell'arroganza a muso duro (un tunnel anche essa). Avevi invece agito con concretezza e con la giusta dose di orgoglio. Quella equanime fra la colpevolezza e l'innocenza; fra il chiacchericcio e le accuse in tribunale; fra il farci e l'esserci, che non era da meno. Il fotogramma successivo è quello che hai regalato a 55 milioni di italiani in quella calda estate dell'82, i tuoi goal, i dribbling, il castogatore di tedeschi e brasiliani... tutti temevamo la squadra di Zico e compagni, imbattibile.

Quell'Italia la batte' e nettamente, mostrando un cuore e una grinta che nemmeno Pelé o Maradona...cemento del nostro orgoglio nazionale era stato chi era stato ingiustamente messo nel fango qualche mese prima; catartico era stato quel fango, da esso si sarebbe tratto il cemento dell'unità tra gli italiani quasi una pagina epica che andrebbe inserita in un fantomatico neorisorgimento italiano, di cui nessuno parla e nessuno scriverà mai. Ma inutile negarlo: grandi e piccoli io 11enne sul tetto di quelle Peugeot che non si rompevano mai e che a mio padre piacevano così tanto da fare commentare ai soliti criticoni: "ma io capisco Mercedes,  BMW, ma uno che compra sempre Peugeot non l'ho mai visto". Ecco, l'Italia di allora era questa Paolo, quella del criticone-ad-ogni-costo, forse anche l'Italia di oggi è così. La pandemia potrà unirci un po',  ma mancherà quel collante fatto anche da quel calcio sano e pulito che tu incarnavi, senza se e senza ma. L'ultimo fotogramma è di uno dei tanti voli Venezia-Roma-Palermo della fine degli anni 90, forse proprio del 1999. Eri una o due file avanti a me. Si viaggia tranquillamente, il volo regolare, "sai chi c'era, Paolo Rossi" dico all'amico Giovanni ritrovato da poco e con me proprio quella notte. Andammo al Mondello Palace Hotel proprio quella notte e io rividi Paolo. L'amico, spinto da attività e istinto giornalistico, lo aveva intervistato, faceva parte del suo mestiere. Io non avrei saputo trattenerlo suscitare la sua curiosità, ma rimasi a guardare l'uomo e il privilegio che mi era stato concesso di essere a due passi dall'altro diretto responsabile di una gioia immensa, perché il Bearzot da Ajello del Friuli l'avrei pure incontrato quattro anni dopo in tutt'altro luogo, tra le montagne del Cadore. A dieci anni di distanza sono adesso in un luogo diverso da questo, forse migliore, più degno di quella gloria imperitura che si sarebbe sprigionata in quel mondiale di Spagna e che lo avrebbe reso una colonna agli occhi di chi c'era.
A noi il difficile compito, ognuno per favore faccia la sua parte, di celebrarlo e ricordarlo come merita. Ciao Paolo, come si dice: la terra ti sia lieve.
 
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