15 anni fa il più grande concerto della storia italiana25/9/2019

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15 anni fa il più grande concerto della storia italiana25/9/2019

di Giovanni Curatola

Fu quella volta, più che in altre occasioni, che capii come il caso - che voglio credere sia Dio quando non si firma – possa servirsi di una persona per compiere su di te un determinato disegno. Poi magari quella persona torna subito nel nulla da dov’era venuta, ma quel disegno di cui è stata occasionale e inconsapevole fautrice ti resta dentro per sempre. Per farla breve, 15 anni fa una ragazza di Catanzaro conosciuta pochi giorni prima a Roma mi invitò da lei per un paio di giorni e per assistere al concerto gratuito che Vasco Rossi avrebbe tenuto venerdì 25 settembre 2004 nella grande spianata di Germaneto, proprio a due passi da Catanzaro. Ero ancora ignaro che accettare avrebbe significato, per dirla con le parole di un amtico capo del governo che la sapeva lunga, “uscire dai binari della quotidianità della vita per vivere le ore che non si dimenticano più”. Perché Benedetta (il nome di lei) ritornò nell’oblio quasi subito, al contrario delle emozioni che mi regalò quello che fu (e che ancora resta) il più grande concerto mai svoltosi nella storia italiana. E del quale qualche spezzone rivisto oggi su “youtube” ancora commuove, inorgogliendomi per poter ricordare a me stesso che alla “Woodstock italiana” (“Vascstock” la ribattezzerà poi lo stesso Vasco Rossi) io c’ero.

Se 2 anni fa l’evento di “Modena Park (dello stesso cantautore) è entrato nel guiness mondiale per il numero di spettatori paganti a un concerto musicale (220.000), quello del 2004 a Germaneto stabilì con quasi il doppio di partecipanti (400.000) il record italiano assoluto di pubblico. Un concerto storico, probabilmente irripetibile. L’idea era venuta in mente proprio al rocker di Zocca durante il suo tour “Buoni o Cattivi” di quell’estate, la cui tappa più meridionale era stata Napoli: regalare un concerto gratuito al pubblico del centro-sud “perché il Sud è a volte un luogo un po’ escluso dai circuiti dei grandi tour” e per “ridare un po' indietro ai miei fans del Sud quello che loro mi danno”. Il luogo del concerto fu individuato in un’area deserta di campagna a Germaneto, 5 km a sud di Catanzaro, dove c’era solo una strada e dove dal nulla gli organizzatori montarono un mega-palco e il comune provvide ai servizi igienici e ai punti di soccorso e assistenza. Bancarelle e bar ambulanti fecero il resto. Si attendevano 250.000 persone, e solo dal Sud, ne arrivarono 400.000, anche dal Nord Italia. Le stazioni di Catanzaro e Lamezia Terme funsero in quelle ore da enormi centri di raccolta, congestionando il traffico ferroviario dell’intera Calabria, mentre oltre 6.000 pullman convogliarono nella zona il grosso di questa massa inaspettata, che dovette poi sobbarcarsi, e al ritorno pure sotto l’acquazzone e col fango a terra, 3 km a piedi. Ma tanto l’afflusso, iniziato la mattina del 25, che il deflusso, terminato solo a metà mattina dell’indomani, si svolse senza il minimo incidente.

La collina di fronte il palco era gremita all’inverosimile già a metà pomeriggio, quando la raggiungemmo sotto un cielo nerissimo, ma che ancora “teneva”. Irene Grandi e band locali riempirono l’attesa esibendosi sul palco già dalle 18.30, ma l’adrenalina che col passar del tempo saliva era tutta per Lui. “Vasco al governo” fu lo striscione che, fra i più vari e più o meno bizzarri, mi colpì di più. Immancabile a intervalli quasi regolari, ahimé, l’odore di canne. Ragazzi, magari accampati lì dal giorno prima, alla ricerca dello “sballo” nello “sballo”, che non giudico col metro del moralismo sebbene resti convinto che allo stadio come ad un concerto non c’è “sballo” migliore di quello vissuto con la mente perfettamente lucida e cosciente, perché lo “sballo” che si cerca artificialmente non va a sommarsi a quello naturale fatto di musica e altre emozioni, ma in parte copre, annullandolo, quest’ultimo, impetendoti di godertelo in pieno, a differenza di chi resta pienamente capace di intendere e di volere. Poi, de gustibus, per carità…

Quanto a Vasco, irruppe puntuale alle 21.00, e con lui la pioggia. Due ore e 45 minuti di canzoni (29, comprese le medley), sapienti giochi di luci e intensissime emozioni. Sul palco con lui, la band collaudata: Solieri alle chitarre, Rocchetti “barbarossa” re della tastiera, gli intramontabili “Gallo” Golinelli al basso e Innesto al sax, l’evergreen Claudia Moroni ai cori… Nel quasi permanente black-out dei cellulari, mi raggiunse quasi a inizio concerto un sms con scritto: “Juventus-Palermo 0-1”. Incredulità, poi, tra la magia delle melodie di Vasco, la convinzione che non si trattava di un errore o uno scherzo. Felicità su felicità, orgasmo… Altro che canne… Il concerto scivolò con brani dell’ultimo album “Buoni o cattivi” inframezzati ad altri pezzi storici del repertorio di Vasco. La folla cantava a squarciagola, tanto che in certe canzoni non si capiva se era Vasco a trascimare lei o viceversa. Calcolando che arrivai sotto al palco mezz’ora prima della fine del concerto, e che mi ci volle un’ora buona di spintoni e sbracciate per giungere centimetro dopo centimetro fin lì, saranno state le 22,00 quando mi buttai con la mia Nikon Coolpix 5400 nella calca più fittta e impenetrabile. Alla fine tanta fatica fu però ripagata, sia in termini di scatti che di emozioni ancora più… “live”. Tornò a piovere forte, ma non se ne curò nessuno, né tantomeno io. Avevo Vasco Rossi a soli 5 metri da me, quanto bastava per immortalarlo anche con gli occhiali bagnati. Il finale fu quello già abbondantemente collaudato da Vasco nei suoi tanti concerti: “Vita spericolata” e “Albachiara”, preceduta da “Canzone” in omaggio a Massimo Riva.

Il ritorno ai pullman avvenne dall’1.30 alle 3.40, dopo 2 ore di camminata nel fango e con l’acqua che dava brevi tregue. Colonne interminabili nel buio della notte. Pareva, per dimensioni e scenario notturno, la ritirata di Russia del ‘43. Ma non erano i reduci della “Tridentina” o di altre divisioni sfasciate che ripiegavano su Nikolajevka. Erano i superstiti di un evento memorabile, pacifico e gioioso stavolta, testimoni di un concerto probabilmente irripetibile. Colonne che non fuggivano disordinate verso le retrovie, ma tornavano ordinatissime e soddisfattissime alla loro quotidianità. Con le note e la voce di Vasco ancora nelle orecchie. Perché se l'uomo soprattutto ad inizio carriera è stato discutibile (oggi da "quasi vecchietto" e con la "testa a posto" risulta pure fisicamente più simpatico), come rockstar non ha mai avuto uguali. Dai primi anni '80 ad oggi, la sua musica ha sempre trascinato. I testi a volte, la musica sempre: c'è poco da fare... La pensava cosi pure Benedetta, con cui, a differenza del ricordo di quel concerto che resterà indelebile, da quella volta “non ci incontreremo mai, ognuno a rincorrere i suoi guai”. .

A proposito, Juventus-Palermo finì poi 1-1. Un insperato “equilibrio (in campo a Torino) sopra la follia” vissuta contemporaneamente, mille chilometri più a Sud, in quella bagnata, indimenticabile notte calabrese.  

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