GIACOMO PORETTI E I PARADOSSI DEL DUBBIO

25 marzo 2017

«Se troppo dubiti, cosa ti resta?»

di Giacomo Poretti

Non so chi abbia cominciato per primo. A dubitare intendo. A insinuare il sospetto che le cose che accadono non sono come ce le raccontano. Ce le raccontano chi? Ecco un’altra bella domanda: appunto, ci sarà stato oltre a chi ha dubitato per primo anche chi ha dato per primo il nome alle cose, ad esempio albero, che è quella cosa con un tronco, i rami, e le foglie, e che tutti curiosamente sono stati d’accordo su quel nome, a parte gli inglesi, che già dal paleolitico erano isolazionisti, e lo hanno chiamato tree; oppure quell’animale con un naso penzolante e 2 corni all’insù al posto dei baffi, chi lo ha chiamato elefante? come avranno fatto? hanno indetto un referendum? e le parole al vaglio degli elettori quali saranno state: Gervuz? Pinarattolo? Magerbo? oppure si sono affidati allo scemo del villaggio il quale sollecitato dava i nomi alle cose e agli animali? e tutti giù a ridere quando dalla sua bocca uscivano le parole pistacchio, frenulo, gargarismo, nebbia, solletico. Il bello è che una volta fatto il referendum o quando arrivava il responso dell’Inventanomi poi tutti erano d’accordo fino all’eternità: l’elefante è sempre stato elefante da che mondo è mondo, il sasso non ha mai mutato nome nei millenni, aerofagia è sempre stata chiamata così fin dalla prima flatulenza che si ricordi e nessuno si è mai sognato di cambiargli il nome, primo perché fa ridere, secondo perché ci è voluto qualche secolo per pronunciare correttamente quella parola. Forse una volta ci si fidava di più. Avveniva la stessa cosa anche per i sentimenti, la rabbia è sempre stata rabbia fin dal primo uomo che ha cercato di rubare il filetto di dinosauro al proprio vicino di grotta suscitando, appunto, una rabbia che arrivava fino a darsela di santa ragione: e quindi giù cazzotti, botte, schiaffoni. A proposito ma sono arrivati prima gli schiaffoni o prima uno ha inventato il nome e poi ha piantato una manata sulla faccia del ladro di bistecche? L’amore è sempre stato "quella roba lì", che nessuno ci capiva niente ma quando ti capitava stavi ore a guardare la tua vicina di grotta, e quando la incontravi ti cadevano le clave sui piedi, diventavi rosso, non riuscivi a dire neanche una parola, anche perché all’epoca avevi un vocabolario di 7, 8 parole al massimo, tutti gli amici ti prendevano in giro, stavi notti intere a guardare le stelle mentre il vicino ti rubava le bistecche e tu non ti arrabbiavi mai. Tu lo sapevi, tutto il villaggio lo sapeva, il tuo vicino lo sapeva che eri innamorato, e la parola amore per definire quello stato metteva tutti d’accordo. Tranne gli inglesi che lo chiamavano love. Comunque voglio dire che un tempo ci si fidava di più, le cose avevano avuto il loro nome da qualcuno e si andava avanti: il grano era il grano, il torrente era il torrente, la sardina era la sardina e continuava a puzzare fin dalla prima volta che aveva ricevuto quel nome li. Voglio dire che nessuno si è messo li a romper le scatole a polemizzare perché la patata si chiamava patata, nessuno si è mai permesso di creare un movimento culturale contro la patata con l’intento di cambiargli il nome, anche perché un rompiballe di tal fatta si sarebbe preso una serie di schiaffoni e via andare! anche perché ai tempi i contadini dovevano andare a estrarre quel tubero dalla terra perché avevano fame e non avevano tempo da sprecare in disquisizioni lessicali ed etimologiche. Oltre che sui nomi delle cose una volta ci si fidava di più anche su questioni più sostanziali. Saranno state anche delle dicerie popolari però il detto «Aprile non ti scoprire» era considerato come una delle verità certe che solo i cretini potevano trasgredire pena un raffreddore se andava bene o una pleurite se eri proprio spavaldo e andavi a raccogliere le patate in canottiera il 2 aprile. «Chi pota di maggio e zappa d’agosto, non raccoglie né pane né mosto», fu una scoperta notevole nel campo dell’agricoltura e dell’enologia a cui tutti si sottomettevano senza discussioni. È vero che la storia dell’umanità è costellata oltre che da geni, santi e artisti anche di rompiscatole noiosissimi, ma nessuno, fino a poco tempo fa, si è mai permesso di criticare il detto «Dicembre imbacuccato grano assicurato». Perché una volta ci si fidava di più e forse si pensava che una qualche verità e certezza esistessero. Devo confessare che personalmente troverei molto comodo se esistesse una verità, invece nel caso non esistesse sarebbe un bel guaio. Ma chi ha cominciato per primo, non a rompere le scatole su delle facezie, e ce ne sono tanti, che si ostinano a dire per esempio che il mese più caldo dell’anno è agosto, mentre lo sanno tutti, indubitabilmente, che è luglio; o che la maglietta termica si deve indossare sopra la canottiera, mentre tutte le persone sensate sanno che se s’indossa prima la canottiera e sopra la termica quando si suderà il sudore rimarrà appiccicato alla canotta e di conseguenza sulla nostra pelle; pensate che c’è ancora qualcuno che mete in dubbio l’undicesimo comandamento: che al mattino le arance sono oro, a mezzogiorno argento e la sera piombo! Intendo riferirmi anche alle regole grammaticali tipo che il condizionale regge il congiuntivo, o che su qui e qua l’accento non ci va. Eppure qualcuno deve aver cominciato. Perché sono convinto che se uno ha il coraggio, la sfrontatezza, l’ignoranza, la follia, la cattiveria di mettere in dubbio che su lì e là l’accento ci va, beh il mondo alla lunga è destinato a franare verso l’insensatezza. Giustamente voi mi farete notare che a causa di un accento non è mai franato nessun mondo, e io vi rispondo: primo, non potete saperlo se da qualche parte nelle galassie qualche mondo sia imploso a causa di una sgrammaticatura; secondo, non sottovalutate gli accenti perché poi se fate come vi pare con qui e là poi troverete desueto il trapassato remoto, il congiuntivo vi irriterà, comincerete a sottovalutare gli effetti benefici dei suffumigi, comincerete a bere spremute d’arancia prima di coricarvi, poi in un moto di ribellione al posto degli antibiotici per una pleurite assumerete tre punch al tamarindo perché ve lo ha detto uno che conoscete, negherete l’esistenza delle Pleiadi perché dei sussidiari non c’è da fidarsi totalmente, arriverete a dubitare perfino dell’utilità del calcio e del potassio contenuto nel gorgonzola e dei loro benefici effetti sull’ipertensione, non avrete più fiducia nei professori e nei maestri dei vostri figli, non avrete più un medico di fiducia perché sarete sospettosi di ogni medico, infine direte che Dio è morto. Che non crederete più in nessuno, né in vostra moglie, nei vostri figli, nella vostra squadra di calcio, sarà solo la conseguenza del fatto che non vi fidate più. Di niente. Di nessuno. Ma chi ha dubitato per primo?

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News » RIFLESSIONI DI VITA - Sede: Nazionale | sabato 25 marzo 2017