Biblioterapia, la medicina dell'anima

13 luglio 2025

Nel silenzio solenne di una biblioteca o tra le pieghe vissute di un libro sul comodino, si cela un segreto antico quanto l’uomo stesso: leggere guarisce. Non è soltanto il piacere della narrazione o la dolce fuga dall’incessante tumulto del mondo, ma qualcosa di più profondo, di più intimo. È una cura dolce, silenziosa, ma potente. Una medicina per l’anima affaticata.

Biblioterapia ecco il nome di questa arte silenziosa. Una parola nobile, che unisce due antichi termini greci: biblion, il libro, e therapeia, la cura. Fu coniata nel 1916 dallo psichiatra americano Samuel Crothers, ma le sue radici affondano ben prima, nei secoli in cui la lettura era rifugio e rivelazione.

Pensate a Michel de Montaigne, filosofo del XVI secolo, che trovò nei libri il solo conforto dopo la morte del suo amico più caro, Étienne de La Boétie. Oppure a George Eliot, che cercò balsamo per il cuore ferito nella Divina Commedia, trovandovi parole che abbracciano e comprendono. O ancora, William Wordsworth, il poeta dei sentimenti lievi e profondi, che parlava dei “momenti preziosi” che la poesia sapeva donare all’animo turbato.

Leggere è un gesto semplice, un beneficio profondo

In un’epoca come la nostra, ove il tempo sembra divorare ogni spazio di quiete, bastano sei minuti di lettura per ridurre lo stress del 68%, secondo uno studio condotto dall’Università del Sussex. Sei minuti. Più efficaci di una passeggiata, più rasserenanti di una melodia.

Ma com’è possibile? Leggere è un atto di abbandono e di scoperta. Quando ci si immerge in un libro, la mente si distacca dai pensieri ossessivi, l’anima trova riparo, il cuore si rilassa. Le parole, come carezze invisibili, accompagnano il lettore in un mondo che non è fuga, ma elaborazione: del dolore, del lutto, dell’ansia.

Romanzi come rimedi, poesie come carezze

Nel suo The Novel Cure, Ella Berthoud, insieme a Susan Elderkin, ha stilato un catalogo affascinante: romanzi prescritti come medicine. Una separazione? Leggete Anna Karenina. La mancanza di senso? Provate con Lo Straniero di Camus. Una crisi esistenziale? Forse Il Gabbiano Jonathan Livingston sarà la risposta.

Nel Regno Unito, la pratica si è istituzionalizzata: con il programma Books on Prescription, i medici possono “prescrivere” letture. E la Reading Agency accompagna migliaia di persone in percorsi di guarigione attraverso le pagine.

Un libro non giudica, un libro ascolta

La biblioterapia non è una terapia nel senso clinico del termine. Non pretende diagnosi, non impone soluzioni. È un dialogo sottile tra chi scrive e chi legge, tra chi soffre e chi, con parole lontane, offre conforto. È il miracolo della letteratura: parlare a ciascuno in modo diverso, ma con la stessa profondità.

Anche nei momenti più bui: un lutto, una malattia, una frattura affettiva; tornare ai libri può sembrare impossibile. Ma non occorre molto. Una poesia, una pagina di un romanzo amato da bambini, un racconto breve letto con lentezza. L’importante è non forzare il cuore: leggere deve essere un invito, non un dovere.

Ritrovarsi tra le pagine

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Leggere insieme, in cerchio, in silenzio o ad alta voce, è un atto d’intimità collettiva. Nei gruppi di biblioterapia, le persone non solo condividono un testo, ma si riconoscono l’un l’altra. E nei mondi altrui trovano le proprie risposte.

Perché un buon libro è come uno specchio delicato: non riflette solo ciò che siamo, ma anche ciò che potremmo essere.

In conclusione, in un tempo che ci vuole rapidi, performanti e sempre connessi, i libri offrono una rivoluzione silenziosa: il diritto alla pausa, al sentimento, alla riflessione. E sì, anche alla cura.

Che siano romanzi, poesie o semplici storie di vita quotidiana, i libri restano tra i pochi farmaci senza controindicazioni, tra le poche terapie che non hanno bisogno di prescrizione.

E forse, proprio in questo, risiede la loro magia più grande.

di Giorgia Pellegrini

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