Menta Selvatica, il viaggio sonoro di Mila Trani
14 agosto 2025
C’è qualcosa di primordiale, quasi ancestrale, nel nuovo disco di Mila Trani, Menta Selvatica. Un titolo che evoca l’energia di una natura libera e indomita, ma che nasconde anche un’antica pratica di cura e liberazione: il tarantismo. Un rito antico del Salento in cui la musica e la danza frenetica erano medicine dell’anima. «Per me questo disco è un rito catartico — racconta Mila — una menta audace e irriverente, che regala il suo profumo generoso a chi ascolta».
Voce riconoscibile e forte, Mila si è scoperta cantautrice fin da giovane, una voce che è diventata la sua forma di ricerca esistenziale, il suo modo di indagare il mondo e sé stessa. «Studiare canto è stato il momento in cui ho capito che potevo usare la mia voce non solo per esprimermi, ma per conoscere la vita in profondità. La musica per me è uno strumento di scoperta, un’apertura verso qualcosa di più grande».
Ogni canzone di Menta Selvatica nasce da una scintilla diversa: a volte è una melodia, altre un’emozione, qualche volta una frase che si trasforma in un ritornello. Mila scrive ogni giorno, si esercita con metodi ispirati a scrittrici come Julia Cameron, e si lascia guidare dall’intuizione e dalla magia del momento. «L’ispirazione arriva al lavoro, quando sei disciplinata ma aperta a ricevere».
Jazz e musica popolare italiana si intrecciano nel suo percorso, con un linguaggio musicale che esplora trame complesse e libertà improvvisativa. Il jazz per Mila è «un vocabolario ampio che ti permette di esprimerti con libertà, che mette insieme tecnica e emozione». E non è un caso che il disco sia stato registrato a Barcellona, terra di radici nuove e di un pubblico capace di sentire oltre le parole, fino all’essenza delle emozioni trasmesse.
«In Spagna la gente non sempre capisce il testo, ma arriva quello che voglio comunicare — racconta —, e questo per un musicista è la conferma più importante». La musica diventa un linguaggio universale che abbatte le barriere linguistiche, culturali, sociali.
Dal palco del Blu Note di Milano e del Bravo Caffè di Bologna, Mila ritorna live con la stessa emozione di chi ha vissuto i suoi primi concerti da spettatrice. «Sono emozionata e felice — confessa —. Quando un pubblico ti ringrazia con gli occhi, ti abbraccia, senti che quello che fai ha un senso, che il tempo si sospende e si entra in una dimensione diversa, in cui la quotidianità lascia spazio all’autenticità».
Mila non è solo voce: è fondatrice della Malanga Voice Orchestra, un progetto corale che esplora la tradizione popolare italiana contaminata con i linguaggi musicali del mondo. Per lei, la musica è cooperazione, è comunità, è un modo per sognare una società più autentica e meno omologata.
Le sue ispirazioni sono profonde e varie: Gabriella Ferri, Roberto Murolo, la musica brasiliana, Amália Rodrigues, la tradizione napoletana, e molto altro. Nel suo quotidiano è anche una ricercatrice musicale, che spulcia archivi sonori come quelli di Alan Lomax, per nutrire la propria creatività e rinnovare il proprio linguaggio.
Mila è una donna di oggi, che lotta contro l’omologazione imperante nel mondo della musica e nella società. «A quarant’anni in questo settore non è facile, soprattutto per una donna — dice —. Il mercato ci vuole giovani, belle, corpi da mostrare, ma io voglio usare il mio corpo per raccontare, per esprimermi. Questa è la mia resistenza, culturale e poetica».
Il disco è una sfida, ma anche una dichiarazione di autenticità, un invito a viaggiare dentro sé stessi, ad ascoltare con attenzione e profondità, a risvegliare emozioni sopite. «Spero che chi ascolta Menta Selvatica faccia questo viaggio con me, che si spogli delle sovrastrutture e torni all’essenza».
E il futuro? Mila ha già nuove idee e progetti, ma ha imparato a prendersi il tempo per creare. Nel prossimo disco, promette, la sua anima percussionista tornerà a farsi sentire, con ritmi che battono insieme al cuore.
di Giorgia Pellegrini
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News » INTERVISTE | giovedì 14 agosto 2025
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