La storia vera del fantasma di Bath House

07 agosto 2016

di Anna Isabella Sanna

Il nome del dottor Francis Edwards si annovera tra quelli dei più famosi psichiatri d’Europa, ma, dal momento che lui stesso preferisce che non mi dilunghi sui suoi titoli, mi limiterò a dire che Francis Edwards è la creatura più umana e comprensiva che esista sulla terra. Quando gli scrissi per chiedergli se fosse al corrente di una storia vera di fantasmi da inserire in un volume di storie di fantasmi mi rispose che lo era, e che sarebbe stato molto felice di rendere note tutte le circostanze relative all’accaduto. «È troppo complicato da scrivere» mi spiegò. Allora lo incontrai, ed ecco il suo racconto: «Nel periodo in cui mi trovavo come primario a Camberwell House, c’era un vecchio signore che veniva regolarmente a trovare un paziente (forse un lontano parente), e spesso mi fermavo a fare due chiacchiere con lui. Era un individuo davvero interessante; lei sa quanto io sia affascinato dall’insolito, e non fui affatto sorpreso quando un giorno mi chiese se credevo nei fantasmi. «“Naturalmente” risposi. “Non vedo come si possa negarne l’esistenza.” «“Perché una volta” continuò lui “sono stato testimone proprio a casa mia di una manifestazione soprannaturale straordinaria. L’avevo trascritta a suo tempo e vorrei fargliela avere. Noterà che ho indicato anche i dettagli più insignificanti: l’ho fatto per sostenere la veridicità della mia storia. Non ho mai mostrato il documento a nessuno, perché sono terribilmente suscettibile e non accetterei l’idea di essere deriso; ma anche se lei dovesse considerarmi al confine tra la sanità mentale e la patologia, non dubito che quanto ho scritto le interesserà.” «Io ero infatti incuriosito e, poco tempo dopo, mi arrivò un manoscritto di duecento pagine. Come aveva preannunciato il mio conoscente, tutti i dettagli erano stati annotati con la massima cura; sfrondato delle ripetizioni inutili, ecco il racconto di quanto successe qualche anno fa in una vecchia villa a Bath.» «La famiglia che la abitava aveva vissuto a Bath per diverse generazioni, ma il signor R., il mio conoscente, era pervaso da un benedetto, o maledetto, spirito d’avventura, che lo aveva spinto ad andarsene in Australia durante la Corsa all’Oro del 1850. “Sono nato” disse “quando mio padre aveva più di sessant’anni, perciò era molto vecchio quando me ne andai di casa; mi trovavo in Australia da poco tempo quando morì, lasciandomi, tra le altre proprietà, la casa dì Bath. «“Non avevo nessuna intenzione di tornare; volevo condurre un’esistenza più libera e anticonformista, così diedi istruzioni al mio legale perché si occupasse del mantenimento della casa e assumesse un custode responsabile. Avevo ereditato diverse proprietà di famiglia che sarebbe stato sciocco lasciare andare in rovina e di cui non volevo disfarmi. «“Mi sposai in Australia e misi su famiglia. Uno dei miei figli morì qualche anno dopo il suo matrimonio, e la moglie, che gli sopravvisse solo un anno, mi lasciò tutore della loro piccola orfana, a quel tempo di sette anni. «“Mary era una creaturina felice, una bambina perfettamente normale (lo dico perché ne venga tenuto conto in considerazione di quanto accadde in seguito)… Ci affezionammo molto l’uno all’altra, tanto che decisi di darle un’educazione inglese. C’era la casa di Bath pronta ad aspettarci; i miei affari in Australia erano così ben avviati che non era necessario posporre la partenza; gli altri miei figli si erano fatti la loro vita e non dipendevano da me. Non avevo legami. «“Quando Mary e io giungemmo a Bath, constatai che le mie istruzioni erano state seguite alla lettera durante la mia lunga assenza, e che casa e mobilia erano ben custodite come ai tempi di mio padre. Mary era troppo giovane per apprezzare i ritratti dì famiglia e i mobili d’epoca, ma adorava il giardino vecchio stile; e poiché non si sentiva sola senza compagni della sua età, non la mandai a scuola, ma decisi di istruirla a casa. Per il momento si trattava di una lunga vacanza per tutti e due. «“Venne l’autunno, e quando le giornate cominciarono ad accorciarsi. Mary e io prendemmo l’abitudine di stare nello studio: la bimba giocava con le sue bambole, mentre io leggevo; era una stanza calda e confortevole, dove trascorremmo molte ore tranquille. «“Una sera che cominciava a imbrunire ed era quasi ora di accendere le lampade, Mary, rannicchiata al mio fianco davanti al fuoco, esclamò improvvisamente: «“ ‘Guardi, nonno, chi è quel vecchio signore seduto nella poltrona bergère? È proprio buffo, è vestito in modo così strano.’ E cominciò a ridere. «“ ‘Non c’è nessuno lì, sciocchina’ le dissi. «“ ‘Ma certo che c’è, nonno. Ecco, ha appena fatto di sì con la testa. Credo proprio che mi conosca. Io non l’ho visto entrare nella stanza, e lei, nonno?’ «“ ‘Scappa via, corri a vedere se sono arrivate delle lettere’ dissi. Non volevo assecondare le fantasie della bambina, così accesi le lampade, e quando tornò chiesi: «“ ‘Beh, Mary, dov’è quel buffo vecchietto?’ «“Mary si guardò attorno. “Oh… se n’è andato – ma c’era cinque minuti fa. Magari torna. Spero tanto che torni; mi piace molto, nonno.’ «“In seguito l’ospite tornò spesso, e Mary mi descrisse il suo aspetto e i suoi vestiti con tale dovizia di particolari che dovetti convincermi, mio malgrado, che l’apparizione (per me invisibile) non corrispondeva ad altri che a mio padre vestito con gli abiti di moda nel Diciannovesimo secolo, che non aveva mai voluto sostituire con qualcosa di più moderno. «“Era inutile mettersi a spiegare a Mary che il suo amico era un fantasma, così lasciai correre, sperando che le cose si sistemassero da sole, anche se non riuscivo a capire come mai mio padre fosse tornato a frequentare il suo vecchio studio, o perché volesse mettersi in contatto con Mary.«“Trascorsero alcune settimane, e, per quanto sembri incredibile, Mary e il suo bisnonno si abbandonavano a lunghe conversazioni, che lei mi riferiva parola per parola; perché, inutile a dirsi, io non avevo mai la percezione visiva o uditiva della presenza di mio padre. «“Ho cercato di trascrivere alcune di queste conversazioni esattamente come me le ha riferite Mary; quando le chiesi di interrogare mio padre su certe questioni di famiglia note solo a lui e a me, le risposte furono tali da non consentirmi di dubitare ulteriormente dell’esistenza di uno stato di cose che trascendeva la mia comprensione. I miei dubbi residui vennero infine dissipati dalla bambina stessa. «“Un giorno dissi: ‘Chiedi al bisnonno che fine fanno i bimbi che muoiono prima ancora di avere il tempo di aprire gli occhietti’. «“Mary si voltò in direzione dell’invisibile occupante della bergère; gli parlò, rimase in attesa pochi minuti, e poi: ‘Il bisnonno dice che i feti morti continuano a vivere in cielo,’ sussurrò Mary ‘ma che cosa significa feti, nonno?’ «“’È un modo per dire che i bimbi nascono già morti’ le dissi. E da allora non dubitai più della realtà di quelle conversazioni, perché la bambina non aveva mai sentito la parola feto fino al momento in cui la usò mio padre. Prova decisiva, non è vero? «“L’inverno passò e tornò la primavera, la prima da quando Mary si trovava in Inghilterra; una mattina che la luce del sole inondava i crochi nel giardino, Mary disse: «“‘Il bisnonno mi ha detto ieri che non tornerà più, perché, dice, presto andrò io ad abitare con lui. Dove sta il bisnonno? Spero non tanto lontano. Perché devo andare a vivere con lui? Sono così felice qui! Ma’ disse illuminandosi ‘spero di poterla venire a trovare tutti i giorni.’ «“Il mio cuore si strinse… avevo capito fin troppo bene che cosa intendeva mio padre, ma non osavo rivelare alla bambina che la ‘casa’ del bisnonno era una tomba nel cimitero dell’abbazia di Bath, anche se quello spirito, che amava tanto la sua piccola discendente, era libero da impedimenti mortali. Certo è che Mary, del tutto inconsapevolmente, aveva ricevuto la sua chiamata in un altro mondo. Il bisnonno non si fece più vedere, e nel giro di un mese lei morì. «“Questo, dottor Edwards, è il succo di tutta la storia; i fatti li leggerà lei stesso. Tuttavia, dopo quanto le ho riferito, capirà perché credo nei fantasmi.”» «Che fine ha fatto il manoscritto?» chiesi, nella speranza di poterlo riprodurre almeno in parte. «Sfortunatamente, quando ho lasciato Camberwell House è andato perso o è stato messo nel posto sbagliato; ma, a parte lo schema che le ho fornito, vi erano solo una gran quantità di particolari insignificanti, che il signor R. considerava necessari per corroborare le sue affermazioni. Le ho raccontato tutta la parte essenziale della faccenda; c’è soltanto un’altra cosa curiosa che avevo dimenticato: il bisnonno di Mary le ha detto di aver visitato l’Australia, descrivendole le case del nonno e del padre a Adelaide. È un fatto straordinario, dal momento che non aveva mai lasciato l’Inghilterra; comunque, personalmente non dubito che le cose siano andate esattamente come me le ha riferite il signor R.». Continuai a riflettere su questo singolare “ritorno” da un altro mondo, tanto che alla fine scrissi al dottor Edwards per chiedergli la sua opinione sul fatto che la maggior parte di noi, evidentemente, possiede occhi che non vedono e orecchie che non sentono. Ecco la sua risposta: <<Mia cara Maude, Io mi sono fatto un’opinione che non è suffragata da alcuna prova scientifica: penso che la chiaroveggenza o la facoltà di sentire ciò che altri non sentono sia dovuta alla presenza di ricettori normalmente assenti; non vi è alcuna certezza, ma potrebbe benissimo trattarsi di questo. I due sensi, della vista e dell’udito, ricevono gli stimoli esterni attraverso vibrazioni, nel primo caso via etere, nel secondo per mezzo dell’aria. È risaputo che, in entrambi i casi, soltanto le vibrazioni di una certa frequenza o posizione nello spettro vengono avvertite: per quanto riguarda la luce, i raggi ai due margini dello spettro, gli infrarossi e gli ultravioletti, non vengono percepiti. Nel caso esistessero variazioni individuali, tuttavia, alcune persone potrebbero essere in grado di vedere o sentire quel che agli altri è precluso. L’aura (il raggio) descritto così spesso dai medium è un caso molto semplice, mentre quelle forme materializzate (dette fantasmi) ne sono un esempio più avanzato. Felice di averla incontrata ieri, Molto sinceramente, ecc. ecc., Francis Edwards>>. Questa storia - toccante di una strana amicizia - testimonia della mancanza di timore e della socievolezza di certi bambini nei confronti dei visitatori provenienti da un altro mondo, soprattutto quando questi appaiono perfettamente normali. Mary considerava il suo bisnonno come qualcuno che la divertiva, e che le parlava in modo tanto naturale da farle accettare tranquillamente l’idea di andare a vivere con lui. C’è un vecchio detto: “Per un bimbo piccolo, piccolo lutto”; e poiché “Dio è buono con i bambini”, il nonno di Mary l’avrà certamente ritrovata, tanto tempo fa, sotto le volte stellate dei bellissimi giardini del Cielo.

Tratto da Storie vere di spettri – Marchesa Townshend Maude Ffoulkes

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News » Il racconto della Domenica - Sede: Nazionale | domenica 07 agosto 2016