"MORIRE D'AMORE" DI DORA MILLACI
23 luglio 2017
di Dora Millaci
Morire d'amore
Nella vita ci sono giorni di sole e di pioggia ed io sapevo amarli entrambi, perché riuscivo a vedere in ognuno di loro qualcosa di speciale.
Così come mi scaldavo sotto gli alberi di magnolia del giardino di casa, amavo passeggiare quando il cielo brontolava e tuoni riecheggiavano in tutto il paese.
“E' proprio strana quella figlia tua” dicevano le signore della zona a mia madre, che disperata non riusciva a tenermi a freno.
In me pulsava forte l'entusiasmo della gioventù, e quell'esistenza obbligata dai miei genitori mi stava stretta.
L'epoca non era delle migliori. La guerra era appena terminata e noi avevamo bisogno di tutto se volevamo andare avanti, per questo motivo mio padre mi aveva combinato un matrimonio con un giovane dell'alta borghesia.
Loro non sapevano però che io, in quel periodo, avevo frequentato una persona in segreto, di cui mi ero perdutamente innamorata.
Un amore forte, contraccambiato, come pochi nella vita posso vivere.
La sera uscivo di nascosto da casa e ci incontravamo. Ricordo che mi batteva forte il cuore, mentre correvo tra i campi per arrivare nel nostro rifugio. Era una piccola rientranza scavata dall'acqua nella roccia e lì trascorrevamo ore, le più belle della mia esistenza.
Quelli erano gli unici momenti felici, nei quali potevo essere finalmente me stessa. Non dovevo fingere con nessuno, non mascheravo i miei sentimenti e soprattutto la mia vera natura.
Taciturna col mondo, ero invece assieme al mio amore una grande chiacchierona, potevo parlare apertamente, sfogarmi e liberarmi da ogni paura e angoscia.
Difatti, al solo pensiero di sposarmi con quel bellimbusto del quale non m'importava nulla, mi sentivo morire.
“Forse se parli con i tuoi genitori e gli fai capire come stanno le cose” mi disse una notte con voce tranquilla “Accetteranno la situazione”.
“Stai scherzando!” risposi irritata “Non comprenderanno mai, e non solo loro, conosci benissimo anche le persone del paese. Già adesso mi prendono per matta”.
Tornata a casa scoppiai in un pianto disperato, perché non vedevo una via d'uscita.
Una mattina, mentre aiutavo mia madre nelle faccende di casa, azzardai una frase: “Se fossi innamorata di un'altra persona?”.
Lei smise di colpo di lavare i panni e lentamente si avvicinò. Aveva un'espressione truce, che mai avevo visto sul suo viso. Mi afferrò per un braccio e me lo strinse tanto forte da lasciarmi il segno.
“Sei solo una ragazzina” cominciò con tono inflessibile “Non ti permettere mai più di dire frasi simili. Non conosci l'amore, non sai che cosa sia e ti sposerai con il figlio del signor Ernesto alla fine dell'estate”.
Quell'ultima frase per me fu una pugnalata al cuore, poiché non ne sapevo nulla.
Non si possono comandare i sentimenti, le emozioni, e non si può dire ad un cuore chi deve o non deve amare. Certo ero giovane, ma di sicuro non provavo nulla per quel tipo, anzi, il mio giudizio su di lui era negativo.
Eccessivamente tronfio, arrogante e altezzoso solo perché la sua famiglia, al contrario di molte del paese, era benestante.
Quando camminava per la strada si dava così tante arie che sembrava un pallone gonfiato, intelligenza zero e cultura meno che meno.
Mancavano ancora quattro mesi al matrimonio ed io dovevo assolutamente trovare una soluzione, perché mai lo avrei sposato.
“Amore mio, che cosa ne dici se fuggiamo e andiamo lontano?” proposi una sera durante uno dei nostri incontri.
“E dove andiamo? Io non possiedo nulla, non ho soldi. Come facciamo per vivere?”.
Purtroppo aveva ragione. Eravamo indigenti, possedevamo solo la forza del nostro grande, disperato, incompreso amore.
Più i giorni trascorrevano e più mi sentivo stretta in una gabbia, dalla quale sapevo che, una volta entrata, non sarei più uscita.
Il mio cuore gridava aiuto, un urlo che nessuno udiva. Sanguinava ogni attimo di più e così come in uno stillicidio, stava morendo.
Avrei fatto di tutto pur di non sposare quel tipo viscido che non sopportavo. La mia famiglia gioiva ed io, al contrario, mi tormentavo cercando una via d'uscita.
Ero sempre più triste, angosciata, addolorata, e gli unici momenti sereni erano quelli che trascorrevo la sera, quando scappavo e mi rifugiavo tra le braccia del mio amore.
Il tempo, questo maledetto nemico che non voleva arrestarsi ma inesorabilmente procedeva spedito, più di quanto immaginassi, giunse al termine.
“Non possiamo più vederci, è la fine!” esclamai una sera tra le lacrime “Dopodomani mi sposo” mi girai di spalle, perché non avevo neppure il coraggio di guardare quelli occhi dei quali mi ero perdutamente innamorata.
Non disse nulla ma mi strinse forte, e in quell'abbraccio avvertii tutto l'amore del mondo, ma anche la sofferenza di chi sa che sta per perdere qualcosa di unico e prezioso.
Trascorremmo la notte così, senza parlare, ammirando quel meraviglioso cielo d'agosto colmo di stelle, sognando e fantasticando un mondo dove potevamo vivere assieme. Immaginando un luogo nel quale l'amore avrebbe regnato e non avremmo più dovuto nasconderci e avremmo potuto amarci alla luce del sole.
“Forza, sbrigati!” m'intimò mia madre dopo avermi aiutata ad infilarmi l'abito da sposa “Non possiamo far attendere il tuo futuro marito”.
“Vorrei stare un momento da sola” le dissi “Vai avanti che ti raggiungo”.
Senza fare alcuna obiezione uscì dalla stanza, lasciandomi davanti al mio riflesso nello specchio.
Che cosa vedevo? Una ragazzina dentro un vestito troppo grande per lei, che non era pronta ad un passo simile, ma soprattutto scorgevo una tristezza infinita, un viso cupo e un cuore colmo di amarezza.
Sposando quel tipo pieno di soldi avrei aiutato la mia famiglia, perché aveva davvero bisogno. Pensavo ai miei fratelli e alle mie sorelle più piccole e sapevo che mi sarei dovuta sacrificare per il loro bene, eppure una parte di me non riusciva a compiere quel gesto.
Io non amavo quel ragazzo, non provavo per lui alcun sentimento d'affetto. Il solo pensiero poi che dopo la cerimonia mi avrebbe toccata, mi faceva stare male, mi ripugnava.
Come un lampo a ciel sereno, mi tornò alla mente il mio amore ed i momenti trascorsi assieme, quanta tenerezza, dolcezza, comprensione tra noi.
Non si possono seguire due padroni, o il cuore o la ragione e fu così che io mi resi conto di che cosa dovevo fare.
La giovane uscì da casa, ma non arrivò mai in chiesa. Dopo tutto il giorno nel quale l'intero paese si adoperò per le ricerche, fu ritrovata.
Aveva ancora indosso quel vestito immenso per una ragazzina, una sposa bambina, che aveva preferito cercare una via d'uscita drammatica piuttosto che cedere al ricatto della sua famiglia.
Il suo corpo galleggiava vicino alle sponde del torrente, accanto a lei c'era ancora intatto il bouquet di piccole rose bianche preparato da sua madre.
Non molto lontano fu ritrovato un altro corpo, quello di una donna, una sconosciuta.
Quelle mute acque avrebbero così custodito e suggellato per sempre un segreto: il loro grande, meraviglioso, ma per il mondo inammissibile amore.
La campanella suonò in quel momento per avvertire che la lezione era terminata.
“Questa storia ragazzi è stata ritrovata in un vecchio libro in un'antica bottega di paese. Riflettete bene sull'argomento e sul vero significato dell'amore ogni volta che deridete qualcuno. Non fermatevi alle apparenze guardandolo in faccia, piuttosto imparate ad andare oltre, cercando di scorgere il suo cuore”.
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News » Il racconto della Domenica | domenica 23 luglio 2017
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