QUINTO POTERE IN SALSA ITALIANA
09 agosto 2019
di Gio Catena
Questa è una storia su come il minimo comune denominatore dei mezzi d’informazione popolari ha spianato la strada al minimo comune denominatore della politica populista. In Italia tutto è cominciato con la liberalizzazione delle frequenze televisive, che erano sempre state dominio esclusivo della Rai, l’apprezzata rete televisiva pubblica. Negli anni ottanta un nuovo network di canali televisivi con una programmazione più aggressiva e sfacciatamente grezza, il cui editore è Mediaset, è entrato nel mercato e si è diffuso in tutto il paese, rilevando piccole reti locali e contrastando la missione educativa della Rai con una forte dose di cartoni animati, sport, telenovelas, film e altre forme di intrattenimento leggero.
Nel 1990, 49 italiani su 50 potevano già vedere le reti del gruppo Mediaset, che in soli cinque anni avevano raggiunto metà della popolazione. Un gruppo di economisti italiani ha messo a confronto le città che hanno avuto subito accesso a questi canali televisivi con quelle, delle stesse dimensioni, che hanno cominciato a ricevere le trasmissioni delle reti Mediaset solo più tardi, per cercare di capire in che misura qualche anno in più di programmi televisivi di basso livello può condizionare la politica di un paese.
I risultati sono cupi. In un articolo apparso sull’American Economic Review, Ruben Durante dell’università Pompeu Fabra di Barcellona, Paolo Pinotti dell’università Bocconi di Milano e Andrea Tesei della Queen Mary university di Londra hanno analizzato i dati delle emittenti per dimostrare che una maggiore esposizione ai programmi frivoli di Mediaset ha portato successivamente a un maggiore sostegno ai candidati populisti che comunicavano con messaggi semplici e davano risposte facili ai problemi.
Il fondatore e proprietario di Mediaset è Silvio Berlusconi, un politico populista che è stato più volte presidente del consiglio italiano, ma i ricercatori hanno dimostrato che non si è trattato solo dell’eletto Berlusconi. Un forte sostegno elettorale è andato anche ai suoi concorrenti populisti, in particolare il Movimento 5 stelle, che alle ultime elezioni politiche è diventato il primo partito italiano. La televisione ha influito sul successo dei populisti con l’intrattenimento più che con i messaggi politici. Nel periodo in cui certe zone del paese erano più esposte ai programmi televisivi del gruppo Mediaset di altre, né Mediaset né Berlusconi erano ancora entrati ufficialmente in politica.
I ricercatori hanno raccolto i dati relativi ad anni di trasmissioni per dimostrare che Mediaset offriva il triplo di ore di film e programmi d’intrattenimento della Rai e pochissimi programmi di cultura e informazione. Secondo Benjamin Olken, professore del Massachusetts institute of tecnology (Mit), uno dei primi ad analizzare i dati raccolti dall’équipe italiana, la ricerca ha dimostrato che anche “la televisione che non parla esplicitamente di politica può influire sulla politica”.
In uno studio pubblicato nel 2009 dall’American Economic Journal, Olken ha analizzato le differenze tra la ricezione dei segnali radiotelevisivi in 606 villaggi dell’isola di Giava, in Indonesia, e ha dimostrato che un maggiore accesso alle trasmissioni radiotelevisive corrispondeva a una minore partecipazione alla vita civile e a un minor grado di fiducia nella politica.
In Italia i ricercatori hanno usato anche le recensioni dei critici e le valutazioni della Motion Picture Association of America, l’organizzazione statunitense dei produttori cinematografici, per dimostrare che la programmazione di Mediaset era di qualità inferiore. Hanno anche scoperto che l’effetto dei programmi televisivi di basso livello sul risultato delle elezioni aumentava di quasi il 10 per cento nei due settori della popolazione che li guardavano di più: i bambini sotto i dieci anni e le persone sopra i 55 anni. Con il passare del tempo, entrambi i gruppi arrivavano a sostenere i politici populisti, anche se per motivi diversi. I giovani che avevano guardato i programmi di Mediaset negli anni della loro formazione, dice Durante, “erano meno evoluti dal punto di vista cognitivo e mostravano meno impegno civile” dei loro coetanei che in quel periodo avevano avuto accesso solo alla tv pubblica e alle emittenti locali.
Secondo Durante, è una questione di opportunità: ogni ora passata a guardare la tv è un’ora in meno in cui i ragazzi leggono, giocano all’aperto e socializzano tra loro. “Mi dispiace dirlo”, afferma, “ma a lungo termine questo potrebbe influire sul tipo di persone che diventeranno”.
Da una serie di test psicologici e cognitivi a cui è stato sottoposto un gruppo di reclute dell’esercito è emerso che i giovani che vivevano in zone dove l’esposizione alle reti del gruppo Mediaset era maggiore avevano dall’8 al 25 per cento di probabilità in più di ottenere un punteggio più basso. Da un’indagine internazionale condotta nel 2012 è emerso che in matematica e capacità di lettura i punteggi degli adulti italiani che erano stati esposti ai canali Mediaset prima dei dieci anni erano significativamente inferiori a quelli dei loro coetanei. Davano anche prova di un minore impegno civile ed erano meno attivi politicamente. Non c’è da meravigliarsi quindi, dicono i ricercatori, che questi uomini e donne si siano sentiti attratti prima da Berlusconi e poi dal Movimento 5 stelle, che usano entrambi un linguaggio semplice. I ricercatori hanno riscontrato che gli effetti obnubilanti della tv spazzatura non erano invece così pronunciati negli italiani che erano stati esposti alle reti Mediaset in età più adulta: i punteggi nei test erano simili a quelli dei loro coetanei meno esposti. Le loro tendenze populiste erano però influenzate dai notiziari.
Quando nei primi anni novanta Mediaset cominciò a offrire anche programmi d’informazione, molti telespettatori adulti erano già stati catturati dall’intrattenimento leggero ed era molto più probabile che guardassero i telegiornali di Mediaset piuttosto che quelli di altre emittenti. In vista delle elezioni del 1994, dopo che una serie di scandali aveva fatto cadere il governo e convinto l’imprenditore diventato demagogo a entrare in politica, i programmi di informazione cominciarono a concentrarsi su Berlusconi. A quel punto i telespettatori più adulti erano incollati ai telegiornali del gruppo Mediaset e si lasciarono coinvolgere nella campagna elettorale. Risultati simili sono emersi da un’analisi pubblicata nel 2017 dall’American Economic Review e condotta da un altro gruppo di ricercatori, che ha usato la variazione dei programmi televisivi per dimostrare che nel 2000 il notiziario della Fox aveva fatto guadagnare mezzo punto percentuale al Partito repubblicano e nel 2008 aveva determinato per lo stesso partito un vantaggio di sei punti rispetto ai tempi in cui il canale non esisteva.
In Italia la televisione non ha reso gli elettori più conservatori. Anzi, sembra averli resi più sensibili ai messaggi contro il sistema lanciati dai leader populisti, dice Durante. Negli anni novanta e nei primi anni duemila Berlusconi “ha potuto trarre vantaggio dal declino delle capacità cognitive e del senso civico degli elettori”, scrivono i ricercatori, ma già nel 2013 era stato superato dal Movimento 5 stelle, che con la sua retorica aveva conquistato gli elettori influenzati da Mediaset che prima erano schierati con Berlusconi.
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News » RICERCHE E STUDI | venerdì 09 agosto 2019
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