PREMIO FEDELI A GESUINO NÉMUS
22 novembre 2016
di Mariangela Mombelli
Gesuino Némus, eteronimo di Matteo Locci, di Jerzu, con il romanzo “I bambini sardi non piangono mai” (Elliot Edizioni) ha vinto la XVII edizione del “Premio Letterario Franco Fedeli” bandito dal SIULP (Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia) di Bologna in memoria del giornalista Franco Fedeli (fondatore e direttore della rivista Polizia e Democrazia deceduto nel 1997), dedicato alla narrativa poliziesca. Il racconto è ambientato a Telèvras, un toponimo suggerito dalla fantasia, nel cuore dell’Ogliastra, che per Némus/Locci rimane la terra degli affetti, delle sue origini e dell’invenzione. In quei luoghi “poveri, ma nobilissimi; poveri, ma non miseri”, dove l’autore attinge per i suoi romanzi, i bambini non sono avvezzi al pianto, vivono in un mondo durissimo, fatto di fatica, povertà e ignoranza, ma di fronte alle avversità della vita trovano la forza di combattere con il sorriso. Gesuino, già protagonista del primo romanzo di Némus, Trilogia del cinghiale, vincitore quest’anno del Premio Campiello Opera Prima, rientra a casa dopo aver trascorso anni in manicomio e si trova alle prese con due cadaveri, mentre scrive il suo nuovo libro ambientato nella Sardegna del 1968, quando la passione indipendentista inneggiava ad un’isola libera e felice, mentre il mondo universitario era sconvolto dalla contestazione e dalle istanze di cambiamento. Ma, insieme agli ideali in quegli anni di rivolta, c’erano di mezzo anche soldi, depistaggi, servizi segreti e sicari senza scrupoli. Nessun investigatore è in grado di risolvere il giallo di Telèvras, soltanto la casualità riuscirà a far luce sui morti e sulle sparizioni. Gesuino è convinto che la verità non possa interessare a nessuno fin quando il suo scritto non arriva nelle mani di qualucn altro intrecciando il passato coi misteri del presente. Némus è bravissimo a far girare i personaggi del romanzo su una giostra di eventi e piani temporali diversi, accompagnando il lettore alla soluzione inconsueta del caso, attraverso il racconto di uno spaccato della società sarda che scorre nell’alternarsi della narrazione di un presente e di un passato che rivive nelle memorie di Gesuino. Ne risulta un patchwork narrativo molto accattivante: ci sono citazioni classiche e shakespeariane, discorsi sulle spinte irredentiste sarde, riferimenti a Cossiga e a Berlinguer, fino a Gigi Riva; perché un vero sardo non può non amarlo. Particolarmente toccante è lo struggente omaggio ad Antonio Gramsci contenuto nel ventesimo capitolo del libro. “Il vero bambino sardo che non piange mai è lui” , afferma Matteo Locci in un’intervista, “Credo che la sua vita debba essere un esempio per tutti, la sua semplicità, il suo impegno, la sua grande applicazione allo studio. Dovremmo imparare a guardare Gramsci da questa prospettiva, piuttosto che soffermarci sull’analisi delle opere. Quelle sono belle e anche molto complicate, ci vorrebbero venti lauree per studiarle e interpretarle, non sono per tutti. Invece la sua vita e le sue idee semplici possono essere un punto di riferimento per chiunque.” In questa alternanza di passato e presente, di memorie che si alternano ai fatti di oggi, non è un caso che Matteo Locci dedichi il libro al padre, analfabeta, pastore fin da bambino “… né mai mi vergognai di quello che la gente mi assegnò come padre. Che fosse davvero lui o un altro a me non importò mai niente. Sono dovuto diventare vecchio come lui per trovare il coraggio di dire che gli ho voluto bene, tanto bene, come un vero bambino sardo deve fare. E ora, che non serve a niente e non può sentirmi, lo amo come si amano i fiori della ginestra, di quell’amore inutile che punge e fa male, per la sua bellezza.” ("I bambini sardi non piangono mai", pag. 101).
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News » LETTERATURA E LIBRI di Pina D'Alatri | martedì 22 novembre 2016
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