CHE COSA HO IMPARATO DALLE DONNE IN MEDIO ORIENTE (GRAZIE ANCHE A NONNA ROSA)
20 luglio 2019
di Viviana Mazza
Numerosi viaggi in Medio Oriente e da qui nasce l’esigenza di raccontare percorsi e ricordi delle donne di quei luoghi. Ne parla Viviana Mazza nel libro «Le ragazze di via Rivoluzione» (Solferino): «Sono storie di donne che non si battono solo contro le discriminazioni di genere, ma per una società più giusta per tutti».
Mi ricordo una conversazione tra me e mia nonna, avvenuta all’incirca tredici anni fa. Ero tornata in Italia dopo gli studi in America e in Egitto e avevo appena iniziato a lavorare come giornalista al Corriere della Sera a Milano.
«Ma tu quindi lavori?», mi chiese lei.
Annuii.
«Guadagni abbastanza?».
Le risposi di sì, che riuscivo a mantenermi da sola.
«Allora non è necessario che ti sposi», disse.
Alcuni di noi sono più aperti al nuovo, altri sono più legati a ciò che già conoscono. Mia nonna Rosa era una donna siciliana che credeva nel cambiamento. So che amava il nonno. Allo stesso tempo, però, ha sempre avuto il rammarico di non aver potuto continuare gli studi. Incontrò, già tanti anni fa, quella contraddizione di cui le donne parlano continuamente oggi: il conflitto tra la cura della famiglia e dei figli da una parte e l’autonomia personale dall’altra.
Storie di donne e di libertà
Dopo aver frequentato le elementari, la nonna decise di continuare, senza dirlo ai genitori. Riuscì a completare la sesta. I libri non li aveva, frequentava senza. E ogni tanto sbirciava in quelli dei compagni. L’unico libro che mia nonna possedeva era Le mie prigioni di Silvio Pellico.
Glielo regalò la sua maestra Assunta Gangi: le diceva sempre che era brava, che poteva continuare gli studi. La nonna avrebbe voluto, ma a quei tempi non era previsto per una femmina, tranne che nelle famiglie più ricche. Quel libro, scritto a caratteri fitti fitti, era un tesoro per lei. Forse è per via della nonna Rosa che mi stanno a cuore le storie di donne e di libertà, di cui parlo nel mio nuovo libro «Le ragazze di via Rivoluzione» (Solferino).
Una questione non solo femminile
Eppure, quando arrivai al Corriere direttamente dal Cairo non avevo un particolare interesse per i temi femminili. Mi venivano spesso affidati articoli sulle donne nei Paesi musulmani, e io stavo molto attenta a evitare di esprimere opinioni. Nel 2009 fui invitata a parlare all’università della mia città, Catania: il titolo dell’incontro era «Donne e informazione tra Oriente e Occidente». Ripensai a due storie di donne di cui mi ero occupata nei mesi precedenti: Delara Darabi, una ventitreenne iraniana con la passione per la pittura, impiccata per un crimine (di cui si dichiarava innocente) risalente a quando era minorenne; e Roxana Saberi, la giornalista iraniano-americana imprigionata per 101 giorni a Teheran con l’accusa di spionaggio e appena rilasciata. Il problema era che l’Iran, pur avendo ratificato la Convenzione Onu sui Diritti dell’infanzia, punisce come adulti i bambini a partire dai quindici anni e le bambine dai nove. Non è una questione soltanto femminile, anzi. Lo stesso discorso valeva nel caso di Roxana: era una dei tanti individui con doppia cittadinanza iraniana-americana diventati ostaggi della politica di ostilità tra Teheran e Washington.
Contro l’estremizzazione dell’Islam
Ma questo non significa che le donne non siano anche vittime dell’estremizzazione dei principi dell’Islam, discriminatori nei loro confronti. È stato un uomo (medico, attivista contro la pena di morte e padre di una bambina), Mahmoud Amiry-Moghaddam, che da Oslo si era battuto inutilmente per la sopravvivenza di Delara, a insegnarmi a non dimenticare mai che le iraniane vivono in generale una situazione di maggiore vulnerabilità. «Abbiamo sviluppato una tolleranza per gli abusi dei diritti, abbiamo stabilito un livello che siamo pronti ad accettare», dice lui. «Sakineh ha suscitato tanta attenzione e ne siamo felici, ma vuol dire che è la lapidazione la soglia alla quale diciamo basta?». Sabri Najafi, attivista iraniana in Italia, è un esempio della straordinaria determinazione delle donne del suo Paese a far sì che i propri diritti siano in prima linea tra le questioni politiche. Allo stesso tempo, l’avvocata Nasrin Sotoudeh e altre di cui leggerete in questo libro non si battono solo contro le discriminazioni di genere, ma per una società più giusta per tutti. Però non va neppure dimenticato che ci sono tante donne conservatrici, che preferiscono lo status quo o comunque temono i cambiamenti.
Dalla Siria al Pakistan
Nei dieci anni trascorsi da quel convegno a Catania, ho visto un’attenzione internazionale crescente sulle violazioni dei diritti femminili e mi sono occupata di molte storie. In questo libro ho scelto di ripercorrerne alcune e di includerne altre inedite. Nei sei capitoli, divisi per Paese (Siria, Iran, Arabia Saudita, Egitto, Afghanistan, Pakistan), ho affrontato tematiche diverse a partire ogni volta da un aspetto che ha fatto notizia.
Credo ancora oggi che essere donna non significhi poter parlare per tutte le altre né avere il monopolio di un giornalismo in cui il «lato umano» emerge con forza, insieme a un coinvolgimento etico. Conservo la sensazione che le storie delle donne musulmane vengano spesso usate per confermare i nostri pregiudizi. Allo stesso tempo ho smesso di preoccuparmi che, dedicandomi alla cosiddetta condizione femminile, sarei rimasta confinata o «ingabbiata» in questi temi. Un po’ come ho smesso di preoccuparmi che diventando madre avrei potuto perdere terreno nel mio lavoro di giornalista.
Al di là dei ruoli convenzionali
Da mia nonna Rosa ho imparato un’altra cosa: il cambiamento non avviene subito, né facilmente. Nel 2017, in America, il movimento #MeToo ha messo in chiaro che, nelle società moderne, tutte le donne sono in qualche modo ancora soggette a sessismo e misoginia, se non a molestie. Ma c’è un’altra lezione di questo movimento che per me è significativa: il fatto che troppo a lungo le storie delle donne sono passate sotto silenzio, ridotte unicamente ai ruoli convenzionali della bella ragazza nell’angolo o della mamma amorevole. Anche per questo è importante continuare a raccontare le storie di donne e di uomini che si conquistano la libertà di scegliere la propria identità, al di là dei ruoli previsti dalle società in cui vivono.
Mentre porto, con tenerezza e un discreto male ai polsi, mia figlia alla scoperta del suo primo anno di vita, di tanto in tanto sollevo lo sguardo. Appeso al muro, accanto al mio scrittorio, c’è il certificato di studi della nonna, con i suoi sedici «lodevole» e un «buono».
News » LETTERATURA E LIBRI di Pina D'Alatri | sabato 20 luglio 2019
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