Perché andare ai Mondiali è oggi paradossalmente più arduo di ieri 15/10/2025

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Perché andare ai Mondiali è oggi paradossalmente più arduo di ieri 15/10/2025

di Giovanni Curatola

L’Italia chiamata ai play-off per accedere al Mondiale 2026, dopo due edizioni di assenza, impone due considerazioni. Una squisitamente tecnica, che ricalca uno spessore dei calciatori azzurri abbassatosi al livello più nero della storia ultracentenaria della nostra Nazionale, e una numerica e oggettiva: è diventato davvero così problematico per una squadra sulla carta gettonata, e di un paese blasonato come il nostro, qualificarsi per un Mondiale?

Lasciamo a commentatori più esperti e navigati la prima riflessione e armiamoci di dati prettamente numerici per addentrarci sulla seconda. Che porta inequivocabilmente a una conclusione: si, a prescindere dal tasso tecnico che una Nazionale europea possa esprimere nel quadriennio di interesse, partecipare ad un Mondiale è per lei, oggi, oggettivamente più difficile che nel passato.

A prima vista, ciò parrebbe un controsenso dato il considerevole (e a nostro avviso esagerato) allargamento dei partecipanti ad un Mondiale degli ultimi tempi (da 24 a 32 dal 1998, da 32 ad addirittura 48 adesso, nel 2026). Paradosso invece non è, dato che a beneficiare di questo “allargamento” sono state principalmente le nazionali africane ed asiatiche. Nell’ottica di considerare superata ormai la dicotomia Europa-Sud America quali uniche espressioni di un calcio di talento, la redistribuzione delle quote di partecipazione ha così favorito squadre e relativi continenti un tempo considerati “materasso” le prime e meno che marginali i secondi. A discapito proprio di Europa e America del Sud.

Nei 44 lunghi anni in cui il Mondiale ha avuto 16 partecipanti (da Italia ’34 ad Argentina ‘78), di questi da 10 a 12 erano riservati all’Europa. Ossia dal 63% all’81% del totale. Con Spagna ’82 si è saliti per 4 edizioni (fino ad USA ’94) a 24 squadre. E già lì con 13/14 squadre europee il “peso” del Vecchio Continente è aumentato di 2/3 squadre in senso assoluto ma è sceso dal 54% al 59% nel contesto totale. Da Francia ‘98 in poi, fino a Qatar 2022, con l’allargamento a 32 squadre l’Europa ha perso definitivamente la maggioranza dei posti a disposizione, che sono aumentati di una sola unità o addirittura rimasti gli stessi (13/14, ossia adesso il 40%/44% del totale). Non parliamo dell’edizione del 2026 in Nord America, dove l’Europa conterà 16 squadre, ossia il 33% dei 48 totali.

Si obietterà: ma chissenefrega delle percentuali, visto che seppur di pochissimo (e in proporzione assai meno di altri continenti) il numero di squadre europee destinate al Mondiale sono comunque aumentate a 16? Non è più semplice accedere adesso al Mondiale dell’anno prossimo, rispetto a quando i posti europei erano 10, 12 o 14? Anche qui, un paradosso, legato alla Storia stavolta, smentisce ogni apparenza. Perché fin quando il Mondiale ha avuto grossomodo 24 partecipanti, di cui max 14 europee, le nazioni del Vecchio Continente che partecipavano alle qualificazioni erano 34 (quindi ben il 41% delle squadre nazionali “passava” al Mondiale. Oggi che, a seguito degli sconvolgimenti politici del 1990-92, gli Stati e le relative nazionali europee sono 55, si capirà bene che pur con più qualificazioni a disposizione la lotta è più serrata e la percentuale delle promosse è inferiore (16 su 55 equivale al 29%). In sostanza, oggi ne “passa” una su 3 mentre prima poco meno di metà (2 su 5).

La dissoluzione dell’URSS ha difatti immesso sulla scena europea (volendo considerare per un attimo la Russia erede calcistica dell’URSS), 10 nuove realtà quali Ucraina, Azerbajian, Georgia, Armenia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Moldavia e Kazakistan. Lo sfaldamento della Jugoslavia ne ha prodotto 6 (volendo considerare anche qui la Serbia erede calcistica della ex Jugoslavia): Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Macedonia e Kosovo. Lo smembramento della Cecoslovacchia in due (Rep.Ceka e Slovacchia) non incide sul totale delle compagini europee perché controbilanciato dall’unificazione tedesca (Germ.Ovest e Germ.Est fuse, almeno a livello teorico, nella Germania). Incide piuttosto l’immissione di altre 5 squadre in rappresentanza di altrettanti micro-paesi non presi in considerazione fino a fine secolo scorso: isole Far Oer, S.Marino, Andorra, Lichtenstein e Gibilterra. Che poi l’immissione di tali squadre incida solo a livello numerico, dato l’esiguo tasso tecnico, corrisponde al vero. Assai meno lo è, tuttavia, nel caso di diverse altre new entry entrate in gioco dopo il mutato assetto geo-politico citato.

Il dato puramente numerico, insomma, indica oggi più ardua per le squadre europee la strada verso il Mondiale. Se a ciò, nel caso italiano, si somma anche un’involuzione tecnica che per svariate ragioni (elevato numero di calciatori stranieri in Serie A in primis) ha riguardato dal Mondiale di Germania 2006 in poi, il gioco è ahimé presto fatto.

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