Sabina Moretti - Scrivere è comunicare21/2/2022

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Sabina Moretti - Scrivere è comunicare21/2/2022

di Roberto Dall'Acqua

Sabina Moretti è una persona con un gran desiderio di comunicare. Da qui alla scrittura il passo è breve e naturale.

- Da dove nasce il tuo amore per la scrittura? Com’è stata questa scoperta?

L’amore per la scrittura nasce dall’amore per la lettura, dal desiderio di scoprire come si scrive un racconto o un romanzo e dal desiderio di narrare con le parole quello che la musica mi racconta quando l’ascolto o quando la suono. È il medesimo desiderio di comunicare con i lettori così come si comunica con gli spettatori in un concerto.

Scrivere narrativa mi sembrava un atto misterioso, legato a forti capacità letterarie e ispirazionali. Quando, superati di un po' i cinquant’anni, ho avuto del tempo per me stessa, al lavoro ho affiancato la frequenza a una scuola di scrittura, dove ho appreso l’uso dei principali ferri del mestiere. Il violino, che è la mia professione, mi ha fornito la consapevolezza della performance e della preparazione alla performance: tornare a scuola per me è stato del tutto naturale.

- Descrivi il tuo ultimo lavoro.

Il mio terzo lavoro pubblicato è "Il Tempo del Tamburo", un romanzo che si svolge nella preistoria, più esattamente alle soglidel neolitico, ovvero nel mesolitico. È nato mentre leggevo saggi di antropologia, argomento che mi appassiona. In quel periodo credo di aver letto consecutivamente almeno quattro saggi su differenti argomenti antropologici, era troppo tempo che non ne leggevo più e mi mancavano, ed è nato un piccolo desiderio: indagare la vita delle donne in epoche lontane, preistoriche. Allora mentre affrontavo un nuovo saggio e iniziavo a ipotizzare un luogo per un possibile racconto ho letto della scoperta del sito di Gobleki Tepe. Un vero colpo di fulmine. L’archeologia è per me un altro luogo di grande attrazione, allora ho subito preso il diario dell’archeologo che lo ha scoperto e mi sono messa a studiare. Mentre studiavo il diario e vi affiancavo le analisi antropologiche nate da quella scoperta ho incontrato i miei personaggi e la loro storia.

La vicenda si svolge alle basi del monte Urartu - antico nome dell’Ararat - dove avviene la costruzione dei due templi, uno dedicato ai defunti, l’altro dedicato alla Grande Madre. Qui si compie il destino di Hay, bambina nata senza una tribù, che intraprende il suo viaggio nella vita in compagnia di Gnu, lo sciamano che la salva riconoscendone le qualità nascoste.

È una storia al femminile dove Hay rappresenta uno dei possibili eventi che la tradizione storica narrata o documentata ha voluto dimenticare, ma della quale, leggendo tra le righe della mitologia e della storia, si possono trovare tracce concrete. Ho cercato di narrare come le donne hanno, in un giorno remoto, partecipato alla rivoluzione neolitica e di come abbiano potuto dire ciò che pensavano e fare ciò che volevano. Inoltre in questa nuova realtà corale, non più solo tribale, si sono avviate trasformazioni sociali ed emotive individuali fondamentali, come nominare il sentimento amore e riconoscerne le varie espressioni, o il concetto e la parola di padre, atti che hanno portato alla rivoluzione neolitica.

- La cittá dove vivi è per te fonte d’ispirazione? Oppure dove vorresti vivere?

Sono nata e vivo a Roma, una città che amo. È certo fonte di ispirazione, infatti sto scrivendo un nuovo romanzo che sarà ambientato proprio a Roma. Alcuni dei racconti, amo molto scrivere i racconti, sono ambientati in città. Non penso che sia una vera fonte d’ispirazione, ma certo costituisce un modello di riferimento artistico, sociale e ambientale molto forte.

Non vorrei vivere in un’altra città, anche se amo molto viaggiare. Potrei passare dei periodi lunghi in altri luoghi, ma la mia residenza principale rimarrebbe Roma.

- Il tuo ricordo, personale o professionale, più emozionante.

Per l’aspetto personale, la nascita e l’infanzia dei miei due figli, Pietro e Tommaso. È stata un’esperienza travolgente sia dal punto fisico, creare la vita, che affettivo. È stato semplicemente meraviglioso.

Per l’aspetto professionale è molto difficile dirlo. Sono una violinista e suonare è basato sull’emozione. Potrei dire quando da giovane allieva ho suonato per la prima volta in concerto con l’Orchestra sinfonica degli studenti del Conservatorio e ho capito che quella era davvero la mia strada, o le volte in cui mi sono trovata su un palco a sostenere un intero programma per violino solo, cosa non del tutto semplice. Adrenalina ad altissimi livelli! Ma lo stesso potrei dire di programmi di concerto con le sonate per violino e pianoforte di Poulenc, di Schumann eccetera.

- Alejandro Jodorowski afferma: <<Il tempo asciuga il superfluo e conserva l’essenziale. Che ne pensi?>>.

Lo condivido. Quando si è giovani tutto ha importanza, tutto è denso di novità, le prime volte si susseguono per lungo tempo. Poi qualche cosa cambia, si osservano le vicende della vita con occhi più esperti e si inizia a sfrondare, a ripulire, si valorizza la qualità piuttosto che la quantità. E questo accade sia nelle relazioni umani, che nella scrittura e nell’arte.

- Come vedi il tuo futuro? Obiettivi personali e professionali.

I lettori non possono vederlo, ma sto ridendo con molta grazia e divertimento. Tra tre anni andrò in pensione, con il massimo di anzianità, da un lavoro che amo, ma resterò violinista a tutti gli effetti nel mio essere e nella mia quotidianità. Un violinista è come un danzatore o un atleta, non si può partecipare alle olimpiadi tutta la vita. Rispetto a loro un violinista ha però una vita professionale più lunga, ma il corpo non perdona. Per questo stavo ridendo con tenerezza alla domanda. Ma poiché ho di me stessa una percezione non legata al corpo, ma all’emozione e al desiderio ho seriamente intenzione di continuare a comunicare attraverso la mia scrittura. Ho vari progetti di scrittura che stanno prendendo forma.

Per l’aspetto personale è semplice: dopo aver vissuto una vita molto complicata e spesso faticosa, godermi la vita con serenità e gioia di vivere.

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