Stefania Rubatti - La cura del disagio psichico28/1/2022

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Stefania Rubatti - La cura del disagio psichico28/1/2022

di Roberto Dall'Acqua

- Come mai hai scelto di fare la psicologa? Hai scelto tu di fare la psicologa o la psicologia ha scelto te?

Diciamo che io ho scelto la psicologia, ma la psicoterapia ha scelto me: ho sempre desiderato studiare psicologia, mi ha sempre interessato la mente umana in tutte le sue sfaccettature, ma mi sono iscritta all’università con l’intenzione di fare ben altro rispetto a quello che faccio adesso.

La psicologia riguarda diversi ambiti, dalla psicologia dello sviluppo alla psicologia sociale alla psicologia del lavoro…ed inizialmente il mio obiettivo era lavorare in campo pubblicitario, ma come spesso accade durante il percorso ho fatto degli incontri (e non parlo solo di persone, ma anche di studi ed esperienze) che mi hanno portato altrove: quando ho incontrato la clinica, quando mi sono trovata a lavorare sul campo sia come paziente (agli psicologi è sempre consigliato un percorso di psicoterapia) sia come tirocinante e poi come “operatore”, allora ho capito che quella era la mia strada. Una strada non diritta ma estremamente affascinante, e così dopo la laurea mi sono iscritta ad una scuola di specializzazione per diventare psicoterapeuta, ed eccomi qua, con esperienze lavorative anche diverse dal classico studio (che comunque rimane la mia attività principale ed anche la mia preferita) ma tutte rivolte alle persone, alla prevenzione ed alla cura del disagio psichico.

- Quanto ha cambiato le nostre menti il Covid?

Tanto. In maniere diverse, con sfumature diverse, ma per tutti è stata ed è tuttora una sfida. Come sempre quando si parla di psiche bisogna distinguere da persona a persona, da situazione a situazione: per esempio, le conseguenze in chi ha vissuto il Covid in prima persona (come malato, o come familiare o amico di malati, o come operatore sanitario) sono diverse da chi lo ha vissuto diciamo “di riflesso”, e sempre ognuno vive le esperienze secondo la propria personalità, i propri schemi, i propri vissuti, la fase di vita che sta attraversando (i giovani sono quelli che hanno pagato il prezzo più caro). La paura ed il senso di solitudine e di abbandono sono gli aspetti più evidenti che si sono manifestati, soprattutto durante il periodo iniziale della pandemia, e se ne pagano ancora adesso le conseguenze in termini di stati d’ansia, depressione, attacchi di panico, alterazioni dell’umore, senso di incertezza, dovuti anche ai cambiamenti subìti ed imposti (quindi non adeguatamente elaborati) nella sfera familiare, lavorativa, sociale.

La pandemia ha avuto un pesante impatto sulla sfera psichica, ed a questo proposito mi permetto di esprimere la mia amarezza per la non approvazione del bonus psicologo, che avrebbe facilitato l’accesso alle cure alle persone più a rischio.

Oggi si può arrivare a considerare “nemico” ciò che prima era “amico”, ed anche a considerarci noi stessi possibili “nemici”, possibili “untori”, il che può portare a fobie, paranoie, depressione, disturbi di adattamento, sindrome della capanna (quando l’isolamento da imposto diventa cercato). La sfida sta nel recuperare la dimensione sociale della relazione: per alcuni l’isolamento coincide con un senso di protezione, è necessario recuperare la fiducia nelle relazioni.

È una delle lezioni del Covid: non ci si può salvare da soli, e un’altra lezione, forse ancora più importante perché generalizzabile ad ogni difficoltà: SEMPRE trasformare i problemi in opportunità.

- Abitudini e paure, ne esistono di insormontabili?

No. Per ogni problema c’è una soluzione, ma anche in questo caso le distinzioni sono d’obbligo.

Abitudine è ogni attività che dopo numerose ripetizioni viene svolta in modo relativamente automatico, sia che si tratti di attività fisica o mentale (per esempio, modi di pensare che si attivano automaticamente) ed è quindi difficilmente controllabile. Il punto principale è imparare a gestire le cattive abitudini (non necessariamente rinunciarci) per far sì che non abbiano un impatto eccessivamente negativo sulle nostre vite.

Il problema è che spesso siamo noi i primi ad opporre resistenza al cambiamento, perché pensiamo al nuovo, all’ignoto come a una minaccia, perché la mente preferisce la stabilità che dà l’illusione del controllo e così preferisce reiterare i soliti schemi, e perché -diciamolo- spesso traiamo dei vantaggi dalle nostre abitudini e non abbiamo voglia di assumerci la responsabilità che ogni cambiamento comporta.

È anche vero che non bisogna imporre e imporsi un cambiamento ad ogni costo, soprattutto per quanto riguarda la psiche è meglio parlare di integrazione più che di cambiamento.

Il discorso sulle paure è immenso: ansie, fobie, attacchi di panico, fino al circolo vizioso determinato dalla paura della paura; ma anche le paure, come le abitudini e come tutto del resto, non sono mai “buone” o “cattive” a prescindere: per esempio, la paura permette l’attivazione delle risorse e provoca la secrezione di adrenalina che rende pronti alla gestione del pericolo, ed è quindi anche un meccanismo di sopravvivenza, e le abitudini possono anche essere funzionali e facilitare l’adattamento (mentre invece ogni dipendenza è patologica).

Insomma, dipende dalla loro intensità, dalla frequenza, da come e quanto interferiscono nella vita quotidiana di ognuno.

- Dopo tanti anni di esperienza è arrivato il momento di scrivere un libro?

Sono sempre stata più da “pratica” che da “teoria” ma perché no? A proposito di cambiamenti…

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