QUELL’ULTIMA PROMOZIONE A NOVARA CON MIO FIGLIO DI 3 ANNI

08 maggio 2018

di Giovanni Curatola

“Andrea, sveglia! Dai, alzati che andiamo a prenderci la Serie A!”. Fu con queste parole che svegliai mio figlio sabato 3 maggio 2014. Cielo limpido e sole splendente quella mattina lì a Milano e dintorni. E non diverso doveva essere il clima a Novara, in Piemonte ma che dalla metropoli lombarda dista solo un’oretta scarsa di treno. Il bel tempo avrebbe dunque accompagnato la risalita del “nostro” Palermo nella massima Serie. Di promozioni ne avevo già vissute 5: la prima dalla C2 alla C1 l’anno della rinascita (1987/88), la seconda dalla C1 alla B nel 1990/91 (commovente ed emblematica, perché con una nuova società ritornavamo da dove eravamo stati ingiustamente radiati 5 anni prima). La terza e la quarta promozione, sempre dalla C1 alla B, nel 1992/93 e nel 2000/01: meno partecipata perché scontata e quasi dovuta la prima, indimenticabile per un palpitante testa a testa col Messina fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata la seconda. Infine, l’apoteosi del 29 maggio 2004 col ritorno in Serie A dopo oltre trent’anni vissuto come il riscatto non solo sportivo, ma anche e soprattutto sociale, di una città ubriaca di gioia e interamente imbandierata di rosa e di nero. Dopo quel Carnevale di Rio, che a ricordarlo vengono i brividi ancora adesso, ogni altra festa rosanero sarebbe stata di secondaria o terziaria importanza. E difatti così fu questa del 2014, con una squadra appena scesa dalla A che rappresentava lusso per la Serie cadetta e pertanto chiamata a una rapida e prepotente risalita. La stagione non tradì le attese e quel Palermo, dopo un avvio incerto con Gattuso in panchina, aveva veramente dominato in lungo e in largo, arrivando quasi al traguardo a 6 giornate dalla fine. Ci occorreva ora solo un punticino, da prendere a Novara appunto. Fu così che, bardato il piccolo con cappellino rosanero e sciarpetta al collo, uscimmo quella mattina, dopo le immancabili raccomandazioni della mamma, direzione stazione Centrale. “Ma guarda un po' ‘sto mocciosetto – pensavo fissandolo teneramente mentre a piedi raggiungevamo la fermata del metrò di Crescenzago – A soli 3 anni e nella sua prima partita fuori la “Favorita” va a godersi comodo comodo quella gioia per la quale io e quelli della mia età abbiamo dovuto tribolarci dietro per quasi 20 anni e per chissà quante trasferte…!”. Alla stazione ci raggiunsero i suoi zii (miei cugini), e a noi si unì un’allegra e occasionale brigata di altri tifosi diretti come noi in… Serie A. L’imponente schieramento di polizia a Novara fu tanto discreto quanto inutile: nessuno aveva voglia o interesse a turbare quella piccola e pacifica invasione di supporters dai vessilli rosa. Dopo un gelato condiviso dal piccolo pure con un altro zietto lì convenuto in auto (il fidanzato della mia cognata più piccola), e qualche difficoltà a far entrare dentro lo stadio la mia inseparabile reflex, assistemmo alla partita nel settore ospiti dell’impianto novarese assieme ad altri 2.500 tifosi palermitani, la maggior parte in verità emigrati giunti dalle vicine località del Nord Italia. Anche in tribuna e gradinata spiccavano vistose macchie rosa, tanto che quasi la metà dei presenti allo stadio - diranno l’indomani i giornali - era di fede rosanero (oltre 3.000 su quasi 7.000 totali). La partita andò come doveva andare, cioè bene per noi. Contro una delle più deboli squadre di B, per gente del calibro di Barreto, Vasquez, Dybala, Hernandez, metterla dentro era solo questione di tempo. Difatti il golletto promozione giunse, con Vasquez, a 3 minuti dall’intervallo. Infagottato nella sua sciarpetta e nella bandiera a scacchi rosa e neri che io e suo zio gli tenevamo sulla testa a mò di tenda parasole, il piccolo Andrea esultò soddisfatto unendosi al possente coro: “…Ce ne andiamo, ce ne andiamo in Serie A…!”. La promozione era vicinissima, distava ormai solo 45 minuti, che ebbero per Andrea il sapore della pizzetta che si concesse nella ripresa. Al fischio finale, l’esultanza con la squadra venuta sotto il nostro settore a saltare e lanciare in aria mister Iachini regalò ad Andrea scene nuove, mai viste nella sua pur breve esperienza da stadio. Scene indubbiamente belle, per me superate comunque per intensità ed emozione da altre vissute in precedenza, ma che i suoi occhi innocenti di bimbo di 3 anni immagazzinarono con curiosità e compiacimento, facendogli assaporare (prima ancora delle patatine della cena di festeggiamento allargata a zie, amici e… birra al nostro rientro a Milano) la parte più bella e più sana di questo sport. Che è quella che noi preferiamo, pur non illudendoci che sia l’unica. Perché in fondo il calcio, come la vita, è quello che scegli di metterci dentro…

 

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News » I RICORDI DEL CALCIO DI UNA VOLTA di Giovanni Curatola - Sede: Nazionale | martedì 08 maggio 2018