James Watson, l’uomo che guardò dentro la vita

08 novembre 2025

Se n’è andato in silenzio, a 97 anni, James Dewey Watson, l’uomo che un giorno osò guardare dentro la vita e ne svelò la forma. La doppia elica del Dna, quell’elegante spirale che racchiude il mistero dell’esistenza, non è solo una scoperta scientifica: è un gesto di vertigine umana, una finestra aperta sull’invisibile. Da quel 21 febbraio 1953, quando insieme a Francis Crick costruì con fil di ferro e cartone il primo modello della molecola della vita, il mondo non è stato più lo stesso. Quel fragile oggetto, così semplice e così infinito, cambiò per sempre il modo in cui l’uomo guarda se stesso.

Watson apparteneva a una generazione di scienziati che credevano nella conoscenza come in un atto di fede. Nato a Chicago nel 1928, divenne presto un protagonista assoluto della biologia moderna: professore a Cambridge e poi a Harvard, direttore del Progetto Genoma Umano, e nel 1962 vincitore del Premio Nobel per la Medicina, condiviso con Crick e Maurice Wilkins. Fu anche autore di testi fondamentali, come La biologia molecolare del gene e La doppia elica, un racconto disarmante e onesto della sua corsa verso il segreto del Dna.

Il suo nome è legato indissolubilmente al Cold Spring Harbor Laboratory, dove ha trascorso gran parte della vita e dove si è spento il 6 novembre, come confermato dal figlio Rufus.

Eppure, l’uomo che aveva decifrato il codice della vita non sempre seppe interpretare la complessità della condizione umana. Le sue parole, a tratti dure e inaccettabili, hanno offuscato la luce delle sue scoperte. Razzismo, misoginia, provocazioni che ne hanno segnato la reputazione: ombre difficili da ignorare in chi aveva osato toccare la perfezione della natura.

Rimane, però, la vertigine del suo gesto. Watson fu il primo a intuire che la vita non è un enigma da risolvere, ma una forma da comprendere. La sua doppia elica continua a girare, instancabile, dentro ogni cellula, come un monumento invisibile al desiderio di conoscere.

In fondo, James Watson non scoprì soltanto come siamo fatti. Scoprì che sapere chi siamo è la più fragile, e la più umana, delle imprese.

di Giorgia Pellegrini

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