GIORDANO PETRI - GIUDICE DELLA PRIMA SERATA DI TREATRI 2019

20 luglio 2019

di Raffaella Iannece Bonora

La prima serata di Treatri 2019 è stata illuminata da un volto celebre del palcoscenico italiano, l'attore Giordano Petri che ha onorato la rassegna con la sua presenza in giuria. Giordano Petri, originario di Città di Castello, è celebre per i suoi ruoli teatrali, cinematografici e televisivi. L'amore per il palcoscenico, gli anni di studio e, soprattutto, una bravura innata, lo hanno portato a ricoprire ruoli via via più importanti. Molti lo ricorderanno nel Pinocchio di Benigni, anche se era il lontano 2002, altri per aver recitato accanto ad Anna Maria Barbera in Ma l'amore ...si!, ancora, in teatro con Monica Guerritore ne La signora delle Camelie e Giovanna D'Arco, al festival di Venezia con "Per Sofia", gli affezionati alla tv non possono essersi persi le sue interpretazioni nelle fiction Don Matteo, Carabinieri, Il commissario Manara, R.I.S. Roma - Delitti Imperfetti, ma soprattutto per il ruolo del bel tenedroso in Rosso San Valentino. Insomma, un attore che ha davvero sudato tanto per arrivare in alto, che negli anni ha ottenuto meritatissimi riconoscimenti e premi.
Chiunque si aspetterebbe di trovarsi di fronte un attore, come ce ne sono molti, spavaldo e pieno di sè, nulla di più lontano dalla realtà. Voglio raccontarvi oggi, uscendo un po' fuori dalla classica scrittura giornalistica tendenzialmente fredda e distaccata, il Giordano che ho conosciuto io, l'attore incontrato alla presentazione di un libro con il quale non avevo il coraggio di parlare (non tutti i giornalisti sono sfacciati),  che con gentilezza, semplicità e in modo totalmente amichevole si è presentato e mi ha chiesto se mi fosse piaciuta la serata, come se fossimo due amici dinanzi ad un bar, e non il grande artista di fronte ad una ragazza qualsiasi. Quando l'ho contattato, con un po' di timore non lo nego, per proporgli questa intervista si è dimostrato subito disponibile, anzi felice. Un uomo affabile, intelligente, interessante, talmente alla mano che, mentre si parla con lui, quasi ci si dimentica di avere di fronte l'attore che ha vinto la  Menzione Speciale come Migliore Attore Protagonista per il film Per Sofia di Ilaria Paganelli agli Award 2010 Sicilian Film Festival di Miami, il Premio come Miglior attore, sezione Teatro, al Napoli Cultural Classic 2012 e ancora il Nino Manfredi d'Oro al Cinema e Ciociaria di Frosinone come miglior attore emergente per il film Per Sofia. Ma non voglio rubarvi altre righe, vi lascio alle sue parole, che possono dirvi e comunicarvi molto più di quanto possa mai fare io. 

Com’è nato il tuo amore per la recitazione?

L’amore per la recitazione è nato per caso. Da piccolo ero molto timido quindi mia madre per sbloccarmi, per farmi essere come tutti i bambini della mia età, mi iscrisse ad un corso di teatro che si svolgeva nella mia città, promosso dal Teatro Stabile dell’Umbria, condotto da Valeria Cingottini, grande attrice che ricordiamo per la Dolce Vita, da Anna Maria Guarnieri ed Enzo Maria Aronica. Dunque il mio approccio è stato più che mai come teatro terapia, teatro propedeutico alla pedagogia, allo sblocco, al prendere consapevolezza di me stesso … poi pian piano mi sono reso conto che stare sul palco mi piaceva molto, soprattutto dopo il primo spettacolo, i primi applausi, la prima recita, il primo gruppo, i primi compagni, le prime persone che ho incontrato, insomma era diventato un indotto molto importante per me, mi gratificava e mi faceva stare bene, quando ero su quel palcoscenico mi sentivo naturale e quindi ho provato a proseguire questa strada informandomi inizialmente su corsi amatoriali poi su scuole professionali e ho deciso di trasformare questa grande passione, innata probabilmente ma con molte corde dentro di me da scoprire grazie specialmente ai maestri che mi hanno aiutato, in professione.

Hai fatto molto cinema e tanto teatro, qual è la differenza e quale mondo senti più tuo?

Io penso che queste siano tutte chiavi e strumenti che un attore debba possedere, mi spiego: l’attore è sempre l’attore, sono le modalità diverse che gli permettono di approcciarsi ad una recitazione teatrale piuttosto che cinematografica o televisiva. Credo, come gran parte dei miei colleghi, che la cosa più importante sia trovare una verità nel proprio lavoro, trovare una consapevolezza in ciò che si interpreta, in quello che si va a sperimentare, scoprire, verificare, elaborare per metterlo in scena, portarlo sul grande schermo o raccontarlo in una fiction televisiva. Da qui l’attore deve trovare la chiave giusta, che può essere una recitazione asciutta, una recitazione più declamata o intima se vogliamo contestualizzarla nel mondo della televisione, sempre con energia e cercando la verità. Tutto ciò anche grazie allo studio, perché alla base ci vuole tanto studio, disciplina, volontà, stacanovismo, rinuncia, sacrificio per raggiungere un obiettivo che poi non è mai un punto di arrivo, è un nuovo punto di partenza per nuovi obiettivi. Nel mio caso specifico il teatro è la dimensione che mi appassiona di più, mi fa star bene, mi fa trovare una sinergia diretta con il pubblico, mi fa provare un’energia nuova ogni sera perché il pubblico è diverso, il palcoscenico è diverso, la gente intorno a me è diversa, e mi piace percepire, anche dentro la sala, attraverso un respiro, un rumore, attraverso un’esclamazione, l’aver rubato, da parte del pubblico, quel particolare della mia recitazione piuttosto che un mio gesto o un mio sguardo ed ogni volta è una scoperta, una novità, una diretta continua, una eterna prima prova che è anche una grande responsabilità perché di fronte a te c’è uno spettatore che viene a vederti, che ti ha scelto, che ha pagato un biglietto e tu non puoi deluderlo.

Hai lavorato con grandi nomi come Monica Guerritore o Irene Papas, con chi ti sei sentito più a tuo agio e quale regista ti è rimasto più nel cuore?

Sono una persona molto curiosa e soprattutto mi piace osservare tantissimo, anche se non si direbbe osservo molto e cerco di “rubare” tanto da tutti, da persone che conosco, che non conosco, che ho conosciuto da poco, che non conoscerò mai ma che mi incuriosiscono per qualcosa, quindi le guardo le osservo. Perciò posso dire che ognuno, a modo loro, mi ha lasciato tantissimo perché il nostro lavoro è fatto, appunto, si di tecnica e di studio ma  anche di esperienza, esperienza diretta, esperienza vissuta sul palco, davanti ad una macchina da presa o in uno studio televisivo per girare una fiction e quando si riesce a trovare un’energia, una dimensione con la persona con la quale lavori, con cui ti relazioni, un punto di incontro o di scontro che però è sempre costruttivo, perché lo scontro automaticamente ti fa trovare un compromesso con quella persona, soprattutto se ci dovrai lavorare e ti ci dovrai relazionare, quell'esperienza ti regala qualcosa di importante e te la porti sempre dentro con te. Poi ci sono, diciamo, dei miti, delle persone che ti piacciono di più, che ti regalano delle emozioni più forti, che sia per lo spettacolo, per quello che si va a raccontare, per la regia, per la messinscena o per la sceneggiatura, però tendenzialmente sono una persona che non ha avuto problemi con nessun collega e non ha litigato mai con nessuno, ho trovato sempre una positività con tutti, ma forse perché sono io un po’ idealista nei confronti di questo lavoro, mi ritengo un uomo fortunato: riesco a fare il lavoro che mi piace, riesco a vivere e guadagnare del mio lavoro e quindi a non dover ricorrere ad alternative e già questo mi rende felice, non potrei chiedere di più. Se poi devo complicarmi la vita litigando con i colleghi o dando importanza a delle superficialità preferisco lasciar correre e concentrarmi sul mio percorso.

Oggi sei qui in veste di giudice, come ti sembra questa nuova esperienza e cosa pensi di “Treatri”?

È una delle cose che mi spaventa di più, perché io non sono nessuno per giudicare un collega o una persona che si affaccia a questo mondo. Penso che se qualcuno sta su un palco o vuole esibirsi ha sempre qualcosa da raccontare, qualcosa da dare e da cui si può imparare. Per cui, più che giudicare e soprattutto puntare il dito dicendo “tu hai fatto una cosa bella, tu hai fatto un cosa brutta” sono qui per confrontarmi da professionista con persone che, magari, fanno questo mestiere in maniera più leggera, più amatoriale o addirittura che desiderano farlo in modo professionale ma non hanno ancora trovato la strada giusta, l’opportunità giusta. Quindi diciamo che diventa più un confronto, uno scambio di idee, di consigli, di opinioni in base a quello che loro mi presenteranno, ovvero uno spettacolo teatrale nel contesto della rassegna. Treatri 2019 l’ho conosciuto quest’anno perché la città di Eboli mi ha invitato come attore a partecipare ad uno spettacolo teatrale che si chiama “Carlo Levi a Sud di Eboli” per la regia di Luca Guardabascio e ho avuto la possibilità di collaborare con le realtà teatrali locali che sono tante, aspetto che mi rincuora perché vuol dire che anche nella provincia c’è ancora forte il senso del teatro, della cultura, del fare arte, soprattutto di far conoscere, attraverso il teatro, nel nostro caso specifico la letteratura siccome lo spettacolo si ispirava al romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli”. Esiste, qui, una realtà molto forte e ho avuto modo di conoscere in special modo la Compagnia del Bianconiglio, soprattutto Bruno Di Donato, direttore della Compagnia di Teatro del Bianconiglio, e Lucrezia Nastri, direttore artistico di Treatri, che mi hanno presentato la realtà di Treatri 2019, una realtà importante per le compagnie teatrali, anche amatoriali, perché il lavoro svolto per gioco, il lavoro che diventa sfogo personale, mezzo per farsi conoscere, per tirare fuori le proprie emozioni, per trovare il proprio momento di gloria concentrato in quell’ora e mezza, è importante in una rassegna che, anche se nata un po’ in sordina, quindi piccola, ci auspichiamo, anche grazie alla collaborazione di noi professionisti, di persone che condividono tramite social o altri mezzi di comunicazione, di farla crescere dal punto di vista di importanza e di collaborazione.

Tra i tanti lavori fatti, ce n’è uno del quale sei più orgoglioso?

Io sono un po’ affezionato a tutti, sono tanti parti, anche se solitamente un uomo non partorisce però in qualche modo, se vogliamo,  metaforicamente parlando, sono tanti figli che mi porto dentro e che cerco di partorire nel miglior modo possibile. ogni volta che mi avvicino ad un testo teatrale o ad un film lo faccio sempre con profondo rispetto e con scrupolosità, documentandomi, studiando, cercando di capire il contesto, il periodo storico, cercando di trovare un atteggiamento, una postura, un comportamento, un modo di parlare legato a quel periodo piuttosto che ad una declamazione, ad una recitazione più importante o leggera se richiesta dall’ambito teatrale. Un'opera che mi ha dato tante soddisfazioni, che mi ha portato un vanto che alcuni non si sono potuti permettere e che non hanno avuto l’opportunità di calcare, è il Teatro Greco di Siracusa, le Tragedie Greche. Ho avuto la possibilità di collaborare con Irene Papas che è un’attrice fantastica che viene proprio da quella drammaturgia, da quel teatro storico greco di Atene. A Siracusa durante la rassegna delle Tragedie Classiche ho interpretato l’Antigone in collaborazione con Maurizio Donadoni, grandissimo attore e Alessandro Haber. Io facevo Emone, un ruolo che mi ha permesso di lavorare su un palcoscenico bellissimo, ogni sera con cinquemila persone che venivano ad applaudirci. Lavorare secondo le calende greche, dunque alle cinque del pomeriggio, con il tramonto su uno sfondo mozzafiato, con il mare in lontananza, il sole che calava sul palcoscenico, ma soprattutto relazionarmi su dei testi che hanno un’importanza, una forza, una drammaturgia cosi potente e che secondo me sono l’abc, la base per un teatrante, di quella che è la recitazione, è stata un'esperienza unica. Il teatro greco di Siracusa mi ha regalato delle grandissime emozioni. Ci sono state, ovviamente, altre esperienze importanti, ad esempio con Monica Guerritore, con Francesca Reggiani, con Lando Buzzanca, ho avuto dei partner, dei colleghi importanti dai quali ho sempre imparato, umilmente osservavo, rubavo, perché anche stare sul palco e vedere gli altri che lavorano è una fonte di insegnamento inesauribile.

Hai vinto anche numerosi premi, al Festival di Venezia, a Miami, al Napoli Cultural Awards, cosa ricordi di quei momenti, qual è il premio che ti è piaciuto di più, l’emozione più grande?

L’emozione più grande è stata sicuramente a Venezia, perché sono arrivato con un film in sordina, un film a cui sono molto legato che si chiama “Per Sofia”, un film che mi vedeva per la prima volta protagonista, un film fatto di immagini, di suoni, di contemplazioni dove ero a contatto con il mondo incontaminato, in mezzo alla natura della Sardegna, lontano da tutto e da tutti, dove incontravo di tanto in tanto dei personaggi un po’ atipici che mi accompagnavano durante il viaggio che poi, in realtà, era un viaggio interiore, dunque una grande responsabilità. Essere premiato e riconosciuto a Venezia come miglior attore esordiente nella sezione Orizzonti, mi ha regalato delle forti emozioni, il tutto legato anche all’aspetto più glamour del festival, il red carpet, i fotografi, le interviste, essere chiamato, considerato, ospitato in televisione, per una persona, per un attore che viene dalla provincia, senza conoscenze, che ha solo studiato, spesso rinunciando purtroppo, per necessità, a feste, partite a pallone con gli amici, in funzione dello studio, della preparazione nei confronti di questo mestiere, è stata una soddisfazione molto grande, un regalo che ho apprezzato doppiamente proprio per questo motivo.

Infine, ultima domanda, Giordano come pubblico, cosa ti piace guardare quando fai zapping in tv o quando vai al cinema?

Qui viene fuori un luogo comune perché io non guardo la televisione, non perché voglia fare il radical chic o perché voglia snobbarla, ma perché, purtroppo, la televisione oggi non offre nulla di interessante, mancano contenuti importanti su cui soffermarsi. Anche se guardi un talk show o un contenitore pomeridiano che dovrebbe educare, dovrebbe essere uno zibaldone che affronta ogni tipo di argomentazione, in realtà ti ritrovi a sentire sempre le stesse notizie, puntare tutto sulla cronaca rosa, che poi non è nemmeno una cronaca rosa interessante ma una cronaca rosa abbastanza trash, deludente, che non ti insegna nulla e non porta nulla di nuovo se non diseducare tutte le persone che sono lì attente a seguire il programma. Quindi per non sputare, comunque, sulla televisione che è sempre un canale importante e dovrebbe fare una forte rivisitazione dei suoi contenuti, io sono un netflix addicted, seguo le loro serie, ho fatto l’abbonamento, faccio le mie scelte, adoro i noir polizieschi,  sono affezionato a “Le regole del delitto perfetto”,"dark", “Sex educational”… insomma ci sono tante serie belle e importanti, non disdegno quelle italiane tipo “ Baby” sul caso delle baby squillo che è di grande attualità, vivendo a Roma ho vissuto questo fatto di cronaca quindi, in qualche modo, seppur romanzato, mi sono ritrovato in quel tipo di racconto, in quel tipo di dramma che purtroppo è alla luce del giorno e spesso non ce ne rendiamo conto ma che, in qualche modo, se tutti ce ne rendessimo conto, dovremmo denunciare e fare in modo che il mezzo televisivo illuminasse tante persone per poter denunciare, per poterle sensibilizzare e spingerle alla denuncia di questi fenomeni che sono dilaganti nella nostra società. 

Giordano, un po' figlio d'arte - suo zio, il regista Elio Petri vinse l'Orso d'Argento a Berlino nel '69, la Palma d'oro a Cannes ed il David di Donatello nel 1972 per il film "la classe operaia va in paradiso" - ma soprattutto nuova stella del panorama della settima arte, è un attore che, nonostante la giovane età, ha già lasciato la sua impronta nel mondo dell'arte, ma dato il suo estro siamo tutti certi che abbia ancora molto da darci. Presto lo rivedremo sul grande schermo nella pellicola "Credo in un solo padre", per la regia di Luca Guardabascio, che racconta una storia realmente accaduta  e legata purtroppo alla violenza sulle donne e all’omertà, nelle sale ad ottobre. Non possiamo far altro che mandargli il nostro grande in bocca al lupo per tutti i suoi progetti futuri, in attesa di vederlo sul grande e piccolo schermo, oltre che sulle tavole di un palcoscenico.

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