Aprirà domani al pubblico “Le Studio d’Orphée”: atelier, ambiente di registrazione e di montaggio, luogo di vita e di lavoro di Jean-Luc Godard, sceneggiatore, regista e cinematografo francese, tra i massimi esponenti della Nouvelle Vague.
La trasposizione del proprio studio, luogo intimo e personale, in uno spazio espositivo, trova collocazione al primo piano della galleria Sud, uno degli edifici industriali della sede di Milano della fondazione. Qui il cineasta ha trasferito il materiale tecnico, utilizzato nella realizzazione dei suoi ultimi film a partire dal 2010, così come i mobili, i libri, i quadri e gli altri oggetti personali provenienti dal suo laboratorio-abitazione di Rolle in Svizzera.
Questa mostra, intima e raccolta, è un affaccio sulla sfera privata di Godard, che ci offre la possibilità di osservare e contemplare gli spazi in cui la sua estetica si incarna.
Gli elementi presentati in Fondazione Prada testimoniano l’azione dell’artista nella costruzione del proprio spazio di lavoro e formano una geografia spaziale ed emozionale all’interno della quale i visitatori sono invitati a vivere un’esperienza di totale scoperta, senza idee imposte o chiavi d’interpretazione univoche.
Il concept stesso dello "Studio d’Orphée" è in linea con i precetti della Nouvelle Vague : il primo movimento cinematografico a testimoniare in tempo reale l'immediatezza del divenire, i cui film sono girati con mezzi di fortuna, nelle strade, in appartamenti, con la sincerità di un diario intimo.
Il titolo della mostra, che si rifà espressamente al mito di Orfeo ed Euridice, stabilisce un parallelo tra il regista e il poeta-musicista greco.
Attraverso la citazione del mito Godard si interroga sul come voltarsi indietro, guardando al passato, senza farlo morire.
Non si può, in definitiva, raccontare il tempo, bensì palesarne la traccia, presentando una personale raccolta di quadri, lettere e fotografie: ricordi.
Non è un caso che una delle frasi pronunciate da Godard in Histoire(s) du cinéma reciti così: “Moi aussi, j'avais cru un instant que le cinéma autorise Orphée à se retourner sans faire mourir Eurydice. Je me suis trompé. Orphée devra payer.” (Anch’io avevo creduto per un momento che il cinema autorizzasse Orfeo a voltarsi senza far morire Euridice. Mi sono sbagliato. Orfeo dovrà
pagare.”).
Il termine “atelier”, usato da Godard per definire questo spazio, vuole evocare la dimensione artigianale che caratterizza la sua attività di regista, accostando il proprio lavoro cinematografico agli universi del teatro e delle arti visive.
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