STORIA DI PIZZA E DIGNITÀ

12 agosto 2019

di Giovanni Schiavo

Un gruppo di donne è seduto sotto a un gazebo di plastica allestito di fronte a uno degli stabilimenti alimentari più importanti della provincia modenese: Italpizza. Protestano da dieci mesi per le condizioni di lavoro imposte dal gigante delle pizze surgelate che ha un fatturato da 127 milioni di euro all’anno ed esporta le pizze in 55 paesi. Quando uno dei camion dell’azienda, con la scritta tricolore “Italpizza” in bella mostra e il volto sorridente di una ragazza che addenta una margherita disegnato sul tendone dell’autoveicolo, esce dai cancelli dello stabilimento, le operaie si alzano con calma dalle loro sedie sotto al gazebo, si dispongono in fila in mezzo alla strada, si siedono per terra, provano a non far passare il mezzo pesante. Urlano alcuni slogan: “Noi vogliamo i nostri diritti, lotta dura senza paura”.

Le forze dell’ordine si schierano davanti al blocco, agenti in borghese cercano di convincerle ad alzarsi, poi arretrano, lanciano dei lacrimogeni e le disperdono: così per ogni camion che entra e ogni camion che esce. Le proteste vanno avanti da gennaio e, durante gli scontri con la polizia, una ragazza ha perso in sensi per i gas lacrimogeni ed è stata portata all’ospedale, un sindacalista si è rotto quattro costole per le manganellate della polizia. Poi ci sono i soldi in busta paga che sono sempre di meno. Marsi Ines vive da quindici anni in Italia e da dodici lavora nella stessa azienda.

“Oggi faccio la stenditrice, stendo l’impasto della pizza. Ma nel corso degli anni ho fatto di tutto: ho lavorato in cucina, ho lavorato con la farcitura, con il formaggio. Ora ho un contratto multiservizi di pulizia, come tutti i miei colleghi, invece dovremmo avere un contratto da alimentariste, perché mettiamo le mani nell’impasto della pizza. Guadagniamo poco e i turni di lavoro per alcuni sono massacranti, c’è chi lavora dieci ore, quando ne dovrebbe lavorare sette”, racconta. Secondo i sindacalisti, con il contratto da pulitrici lo stipendio delle lavoratrici si comprime del 40 per cento. “Lavoriamo anche il sabato e la domenica, facciamo turni di notte e spesso fino all’ultimo momento non sappiamo a quale turno di lavoro siamo state assegnate, riceviamo un sms che ci avverte sul turno del giorno successivo alle 18 del giorno prima. Con questo sistema avere una vita familiare normale è impossibile” .

Nello stabilimento di Italpizza la manodopera è assunta da due cooperative che hanno l’appalto: Evologica e Cofamo. Solo un centinaio di dipendenti sono assunti direttamente dall’azienda, gli altri novecento sono dipendenti delle cooperative.Italpizza produce quattrocentomila pizze al giorno e guadagna undici centesimi su ogni pizza, utilizzando le due ditte appaltatrici che non applicano i contratti di categoria. Questo permette all’azienda di avere profitti alti e avere gli stessi prezzi al consumo di chi lavora con il forno elettrico (mentre l’azienda di San Donnino lavora ancora a mano e con il forno a legna)”, afferma Tiziano Loreti, sindacalista di SI Cobas. Loreti spiega inoltre che l’azienda sta cercando di esportare questo modello anche in altre realtà.

“Italpizza nel frattempo sta acquisendo un’ altra azienda concorrente, l’Antico Forno a legna di Mortara, in provincia di Pavia, e lì ha proposto di licenziare tutti i dipendenti che hanno il contratto da alimentaristi per farli assumere da una cooperativa con il contratto da pulitori”, continua il sindacalista. Tutti gli altri grandi produttori di pizza surgelata in Italia hanno fatto sapere che se Italpizza riuscisse a imporre il contratto multiservizi agli operai dello stabilimento di Mortara, sarebbero pronti a fare lo stesso. “Si è aperto in questo modo uno scontro al livello nazionale con tutti i lavoratori dello stesso settore” .

L’azienda di San Donnino in dieci anni ha incrementato il fatturato da 33.399.415 euro a 126.281.184 euro: un aumento del 278 per cento” . Ma a questa crescita non ha corrisposto un aumento delle assunzioni dirette. “L’azienda è passata dai 110 dipendenti del 2008 ai 101 del 2018. Mentre non siamo in grado di determinare l’andamento dell’occupazione delle cooperative che hanno in appalto il ciclo produttivo (Cofamo ed Evologica) che, a oggi, dovrebbero avere circa novecento soci lavoratori”, continua il sindacalista.Il sistema degli appalti è diffuso in tutto il settore dell’alimentare e in generale nei settori industriali in cui è ancora necessario un impiego massiccio di manodopera. A partire dal 2008 ci si è serviti in tutto il settore di false cooperative intestate a prestanome che in sostanza permettevano di evadere soprattutto l’iva e l’irap. Poi con il passare del tempo e le denunce da parte dei sindacati e della guardia di finanza, il sistema degli appalti è diventato legale, anche grazie alle riforme normative come il Jobs act. Ma non sono stati risolti i problemi di fondo legati allo sfruttamento del lavoro e all’evasione fiscale che questo sistema permette .

A metà luglio Cgil, Cils e Uil hanno dichiarato tre giorni di sciopero al termine dei quali sono stati convocati al tavolo di trattativa con i rappresentanti dell’azienda e hanno concordato l’ipotesi di un accordo che prevede un percorso di aumenti retributivi che culminerà con l’assunzione diretta da parte di Italpizza dei seicento dipendenti della cooperativa Evologica a partire dal 2022, mentre per i circa 250 lavoratori addetti al confezionamento e alla logistica con la cooperativa Cofamo l’accordo prevede l’una tantum di 580 euro nella paga di agosto e un ulteriore confronto con i sindacati per definire un accordo quadro sul lungo periodo.

Ma le operaie che per prime hanno cominciato la protesta non sono soddisfatte. “Si riconosce il fatto che il contratto da alimentarista è quello corretto da applicare, ma questo avverrà solo fra tre anni e solo alcuni dipendenti, quelli di una delle due cooperative, ne gioveranno”, afferma Enrico Semprini, rappresentante sindacale della SI Cobas.

I lavoratori sono piuttosto preoccupati, conclude Semprini, perché hanno osservato una robotizzazione del processo di lavorazione della pizza. “Questo fa temere che ci possano essere anche dei ridimensionamenti dei posti di lavoro e dei licenziamenti”, conclude il sindacalista. Infine i Cobas accusano i confederali di aver diviso i lavoratori: “Chi lavora nell’industria alimentare deve avere il contratto dell’industria alimentare, senza ulteriori distinzioni, così come ottenuto grazie alle lotte nel distretto carni. Le divisioni favoriscono soltanto le aziende”.

Il 31 luglio però, almeno in linea di principio, le operaie di Italpizza hanno vinto: l’accordo quadro per le assunzioni è stato approvato dalla maggior parte dei lavoratori che hanno votato al referendum (535 favorevoli su 954 aventi diritto e 610 votanti). È un primo risultato, commentano i sindacati, si è affermato il principio che non possono essere usate le ditte appaltatrici per abbassare gli standard di lavoro e i salari. Ma la strada è ancora lunga per le operaie di Italpizza che hanno deciso di battersi per i loro diritti.

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News » DIBATTITI E OPINIONI - Sede: Nazionale | lunedì 12 agosto 2019