Coscienza - Il Capro Espiatorio8/4/2020

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Coscienza - Il Capro Espiatorio8/4/2020

di Avv. R. Patrizia Tripodi

Con il diffondersi del virus si è parallelamente diffusa una pratica dal sapore antico, la ricerca del Capro Espiatorio, concetto dalle origini ataviche così come le paure che lo hanno creato, ben raffigurato nel dipinto di William Holman Hunt del 1854. Ne troviamo traccia già nella Bibbia, connesso alla necessità dell’essere umano di ripulire la propria coscienza scaricando le proprie responsabilità, o meglio, i propri peccati, su qualcun altro: il cosiddetto Capro Espiatorio, appunto, avente la funzione di portare via con sé i peccati. Nella Torah, ossia gli insegnamenti e le prescrizioni impartiti da Mosè al popolo di Israele e contenuti nel Pentateuco, nel giorno di Yom Kippur, cioè il giorno dell’espiazione, la comunità degli Israeliti offriva due capri da sacrificare nel Tempio di Gerusalemme in espiazione dei propri peccati. Il sommo sacerdote compiva un’estrazione a sorte tra i due; il primo era immolato nei pressi dell’altare dei sacrifici ed il suo sangue era utilizzato per purificare il tempio e l’altare profanati dai peccati degli Israeliti (Lev. 16, 5-10). Il sommo sacerdote poneva le mani sulla testa del secondo capro e confessava i peccati del popolo. Il capro veniva poi condotto nel deserto, fuori da Gerusalemme dove veniva fatto precipitare da una rupe. Il primo capro è detto espiatorio, il secondo emissario. Nel linguaggio comune anche l’emissario è chiamato espiatorio, perché anch’esso contribuisce al rito di espiazione, portando con sé nel deserto i peccati. Probabilmente il rito costituisce un’esorcizzazione di riti campestri ebraici preesistenti l’ebraismo.

Quanto all’interpretazione cristiana del rito, nella Lettera di Barnaba, viene interpretato come una prefigurazione simbolica dell’auto sacrificio di Gesù. Sia il capro espiatorio che Gesù muoiono fuori da Gerusalemme per colpe a loro ingiustamente attribuite dal sommo sacerdote. Fin qui il significato del rito. In senso figurato invece, un capro espiatorio è colui al quale è attribuita tutta la responsabilità di malefatte, errori o eventi negativi e deve subirne le conseguenze. La ricerca del capro espiatorio è l’atto di voler identificare irragionevolmente in una persona, un gruppo di persone o una cosa, la causa di gravi problemi, spesso con l’obiettivo di celare le vere cause o i veri colpevoli. Ci sono diversi criteri dietro alla scelta della vittima sacrificale quali la differenza percepita della vittima, l’antipatia che suscita, il potere che detiene. La ricerca del capro espiatorio è particolarmente devastante in politica perché solitamente la colpa è attribuita a un gruppo di minoranza con maggiore difficoltà di difendersi dalle accuse. Una tattica spesso impiegata consiste nel caratterizzare un intero gruppo di individui per la condotta non etica o immorale di un piccolo numero di appartenenti ad esso. Nel corso della storia ritroviamo le persone di colore, gli immigrati e così via. Esempio eclatante sono stati gli Ebrei, individuati dalla propaganda nazista come causa del collasso politico e dei problemi economici della Germania.

C’è un distinguo da fare, perché il capro espiatorio di biblica memoria era una vittima innocente. Nella società industrializzata, che chiamiamo evoluta, accade che molti colpevoli, una volta raggiunti dalla giustizia, applichino a loro stessi tale definizione, con ciò volendo significare di essere loro a pagare al posto di molti altri rei, ma è un utilizzo del tutto inappropriato.

Il tema del capro espiatorio è stato trattato in modo leggero, da Daniel Pennac nel libro “Il Paradiso degli Orchi” del 1991, primo di una serie di romanzi con protagonista Benjamin Malaussènedi professione capro espiatorio, dipendente di un Grande Magazzino di Parigi il cui compito è addossarsi qualunque responsabilità di fronte ad ogni genere di reclamo dei clienti. Dal romanzo è stato tratto Aubonheur des agres, film francese diretto da Nicolas Bary nel 2013 con protagonisti Bèrènice Beyo e Emir Kusturica. Incentrato sull’umorismo più che sulla componente poliziesca. D’altronde lo stesso Pennac sostiene di affrontare gli orchi con l’arma dell’umorismo, irriducibile espressione dell’etica. Quando un cliente insoddisfatto intende fare causa al Centro Commerciale, viene convocato Malassène che si assume ogni responsabilità incassando anche ogni insulto fino a cercare di intenerire e convincere il cliente adirato a non procedere legalmente. Il Centro Commerciale diventa bersaglio di una serie di esplosioni che mietono vittime e il nostro si trova sempre nei pressi di tali esplosioni fino a rischiare di diventare il capro espiatorio anche di questi eventi. Il tutto è trattato in modo molto divertente ma gli effetti psicologici nella realtà delle persone hanno un impatto molto forte.

Se il fenomeno si instaura all’interno della famiglia i bambini, se scelti come vittimepatiranno a lungo gli effetti e subiranno tensioni psichiche molto forti di cui gli “aggressori” si rendono conto e per questo la scelta ricade sull’individuo il cui contributo alla famiglia è debole. Tale processo è funzionale al mantenimento di una certa stabilità familiare.

Chi mette in atto tale tattica ha sentimenti ambivalenti: prova rimorso e al tempo stesso collera.

Secondo gli esperti, quando invece il capro espiatorio è scelto nell’ambito di un gruppo diverso per deviare la responsabilità di altri o per conservare l’immagine dell’organizzazione, la vittima farà fronte a conseguenze più o meno importanti; perdita del lavoro, caduta in disgrazia. Il soggetto può arrivare a credere che tale ruolo sia per lui inevitabile e intrinseco alla sua esistenza. Egli si aspetta di essere preso di mira o addirittura si espone a tale condizione in una sorta di profezia autorealizzatrice.

Si sostiene che la tattica del capro espiatorio sfugga al criterio vero/falso ed infatti la sua identità reale, il suo grado di innocenza è secondario rispetto alla funzione che gli viene attribuita. Tragico ma concreto esempio in tal senso è stato dato da Mussolini che per quanto non amasse gli ebrei, sapeva benissimo che il razzismo è un’idiozia. Nel 1932, nell’intervista rilasciata a Emil Ludwig, giornalista tedesco, Mussolini dava atto che “gli ebrei italiani si sono comportati bene come cittadini e come soldati” e addirittura rifiutava il razzismo in modo inequivoco affermando: “io non crederò che si possa provare che una razza sia più o meno pura, l’orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri della razza”; nello stesso anno affidava il Ministero delle Finanze ad un imprenditore ebreo fascista della prima ora, tale Guido Jung. Solo qualche anno dopo Mussolini trasformò quei bravi cittadini in agenti dell’ebraismo mondiale, un nemico irriducibile del fascismo”, da combattere con “una chiar , severa coscienza razziale che stabilisca non solo delle differenze, ma delle superiorità nettissime”. La contraddizione non fatica a palesarsi ma è irrilevante rispetto ai motivi interni ed internazionali per i quali diventa vantaggioso discriminare gli ebrei. Di esempi ce ne sono purtroppo tanti nella storia come nell’attualità; l’uomo ha paura e questa è fondamentale per la sopravvivenza. Egli sente la necessità di esorcizzare le proprie paure e tende a dare loro un volto che cambia di volta in volta; alle origini la paura delle tenebre, della tempesta, delle bestie feroci, paura delle sciagure, carestie, cataclismi, epidemie; in epoche diverse la cultura identitaria, lo scontro tra civiltà, le ossessioni maccartiste per gli “islamici”, l’Eurabia della Fallaci, quel tribalismo aduso a rappresentare l’avversario come portatore di una colpa collettiva. In sostanza, semplici affabulazioni dai risvolti drammatici e attraverso le quali si consumano immani tragedie.  Quando la paura è eccessiva sfocia in folle odio e persecuzione. Gli untori, le streghe, gli ebrei, i neri, gli stranieri, altro non sono se non lo specchio dell’eccessiva paura dell’essere umano. Ancora oggi l’umanità non ne ha compreso l’insensatezza e attualmente pare aver raggiunto l’apoteosi in un mondo di tutti contro tutti dove si leggono e si ascoltano invettive, ora contro i cinesi, ora contro i tedeschi, ora contro chi corre nei parchi, ora contro il dirimpettaio avvistato senza indosso una mascherina, ognuno a prestare il volto e divenire oggetto delle altrui angosce ancestrali, senza che venga applicato l’unico utile discrimine, quello tra ragione e stupidità.

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