Il sogno che ho di te

28 agosto 2016

di Emanuela Aprile

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Eleonora

Immobile, in lacrime e con un vuoto mai provato, guardo in direzione della porta dalla quale pochi minuti prima è uscito Alessio. Il vetro della finestra è ormai in pezzi. Poco me ne importa, ripagherò i danni quanto prima a Clelia. Le crepe del mio cuore, invece, quelle non posso sanarle. Mi sono illusa di poterlo fare. Sono stata una sciocca. Sono un mostro. Un mostro che non sa far altro che fare del male alla gente. Un mostro divorato dal Nulla. Le sedute di psicoterapia mi avevano aiutata a cancellare l'idea che non fossi una buona donna perché incapace di portare a termine una gravidanza.

Ma adesso mi sembra tutto stupido e sbagliato…e sprofondo di nuovo in quell’incubo.

Enrico, scosso quanto me, mi si pone di fronte. È più alto di me di venti centimetri. Con un gesto delicato mi invita ad alzare il viso per poterlo guardare negli occhi. Amore, dolcezza, pazienza è tutto quello che avevo sempre visto nei suoi occhi e che continuo a vedere ora.

E se avessi sbagliato tutto? In fondo è sempre stato un buon amante, un fedele amico, un ottimo marito…ad eccezione dell'unico episodio negativo di qualche mese prima”.

«Mi dispiace tanto, Ele».

Non mi chiama “amore mio”, adesso che ha saputo”.

Chiudo gli occhi incapace di annuire con la testa. Non ho più nemmeno la forza di muovermi. Resterei in questa posizione per giorni pur di non andare avanti e vivere il mio futuro.

«Ti va di parlarmi?». Vedendo il mio totale stato di assenza, decide di prendermi per mano e farmi sedere sul divano. Tutto d'un fiato inizio a buttar fuori quello che ho dentro, tra un singhiozzo e l'altro:

«Lui è…lui è Alessio. Ci siamo conosciuti circa un mese fa. Inizialmente non avrei mai pensato di avvicinarmi a qualcuno. Credimi, ho fatto di tutto per evitare una nuova relazione. Il nostro capitolo in sospeso mi faceva ancora tanto male. Io...io… credevo di non esser pronta. Poi mi sono accorta di essermi legata a lui. Mi sono fatta toccare come mai nessuno dopo di te era riuscito a fare…e non ho avuto paura Enrico, capisci? Io non avevo paura di vivere... invece ho combinato un casino. Io… non ...». Trovo il coraggio di alzare gli occhi e guardarlo in volto. La sua espressione è una maschera imperturbabile e fredda. Capisco che sta trattenendo la sua rabbia. D’altronde l’ho tradito, ho tradito mio marito. Ma Enrico sospira ed intreccia le sue mani alle mie.

«Shhh…tranquilla. Respira, piccola mia. Sistemeremo tutto, te lo prometto».

«Che cosa vuoi da me, Enrico? Perché sei tornato?».

«Io non posso vivere senza di te, Eleonora. Le mie giornate sono buie, prive di vita. Devi darmi la possibilità di rimediare, di rimettere tutte le cose al proprio posto. Riparerò ai miei errori, costruiremo il nostro futuro insieme, avremo tanti figli se lo vorrai…e tutto sarà come prima. E noi saremo più felici di prima».

Il mio cuore si ferma.

Come può pensare che sarà tutto come prima? Non potrà mai essere tutto come prima!”.

Lui non può saperlo perché in quella camera di ospedale non era al mio fianco e non ha ascoltato le parole del medico.

«Non potrà mai essere tutto come prima, mai...» urlo vittima di un attacco isterico.

«Dammi almeno la possibilità di provare, fidati di me!» mi supplica.

Questo uomo mi annienta, mi destabilizza. Per quanto le cose siano cambiate tra noi, mi sento combattuta: un mese fa non sarei rimasta seduta su un divano ad ascoltarlo parlare, invece ora sono qui a chiedermi se sia giusto dargli una possibilità.

In fondo, tutti ne meritiamo una”.

«Concedimi una settimana del tuo tempo dopo di che, se lo vorrai, sparirò dalla tua vita per sempre». Ho prenotato due biglietti per Venezia. Venezia, dove tutto è iniziato. Il nostro primo incontro, il nostro primo bacio, la nostra prima volta…

«Non saprei…io…». Mi accarezza dolcemente una guancia, eliminando tracce di lacrime che la ricoprono. Fa passare il suo pollice sulle mie labbra, chiedendomi tacitamente di non dire altro.

«Pensaci, va bene? Il volo parte domattina. Ora ti lascio un po’ da sola». Si volta allontanandosi da me. Improvvisamente sento freddo, una sensazione che adesso non desidero provare. Non voglio che mi lasci sola.

«Dove vai?» domando sconvolta.

«Vado a trovare una sistemazione per la notte» dice, mentre mi guarda teneramente con i suoi occhioni azzurri.

«Resta qui con me, non lasciarmi sola per favore». Le parole mi escono naturali e senza alcun filtro. “Non mi riconosco…cosa diavolo sto facendo?”.

Avanza meravigliato della mia proposta e, con un sorriso sulle labbra, mi risponde: 

«Beh, spero che il divano sia comodo». Riesce a rubarmi un sorriso.

«Il divano è comodissimo. Credo sia una sistemazione che rispecchi i tuoi canoni, Tomson!».

Oddio faccio anche del sarcasmo ora?

Sorride divertito della mia battuta.

«Mi accontento, Eleonora, dovresti saperlo…vado a prendere la valigia dalla macchina. Avrei bisogno di fare una bella doccia».

«Va bene, fai con calma. Appena rientri ti mostro il bagno».

Mi stampa un bacio sulla fronte per poi uscire dalla stanza, mentre io mi guardo intorno confusa, ripensando ad Alessio…la sua espressione affranta sul volto, le sue parole crudeli, il suo lato violento mai visto prima d’ora.

Gli occhi cadono sui vetri cosparsi per terra in direzione dell’ingresso. Si sarà ferito tirando un pugno violento allo specchio.

Maledetto ragazzo!”.

Mentre mi inginocchio per raccogliere alcuni vetri, mi accorgo della presenza di diversi fogli sparsi sul pavimento. Ci metto ben poco per capirne il loro significato: sono tutti preventivi di appartamenti nella zona centrale di Monopoli…ma un foglio bianco spicca tra i tanti. Quel foglio brucia tra le mie mani, a tal punto da temere di conoscerne il contenuto.

Una lettera scritta da Alessio.

***

Ciao Zucchero a velo,

Mi ritrovo a leggere annunci immobiliari quando fino all'altro giorno le mie priorità erano ben altre...e poi, di punto in bianco, sei arrivata tu. E tutto è cambiato. E' mutato il mio primo pensiero al mattino e l'ultimo della sera. Sono cambiato nel momento stesso in cui ti ho incontrato. Quella sera al pub il mio mondo si è fermato, così come il mio respiro, il mio battito, il mio tempo…ho desiderato stringerti tra le mie braccia dal primo istante, respirare la tua stessa aria e percepire il tuo calore sulla mia pelle. Mi sono sentito impotente davanti a tanta bellezza. Sai, credevo di aver raggiunto tutti i principali sogni della vita…beh, mi sbagliavo di grosso perché il più importante dei sogni era ancora lì, davanti a me, da raggiungere e conquistare. Hai presente quando di punto in bianco il cuore perde un battito? Nel momento preciso in cui ho incontrato i tuoi occhi mi è successo questo! Non avrei mai immaginato di poter desiderare di condividere i miei giorni con una donna. Ed oggi mi ritrovo a desiderare di passare il resto della mia vita solo con te perché adesso so che senza di te il mio mondo sarebbe incompleto.

Non sono bravo con i discorsi, e non so se mai lo diventerò, ma è giusto che tu sappia alcune cose: mi hai illuminato l'esistenza! Ti amo, ti amo, ti amo...e d'ora in poi non voglio più trascorrere un istante lontano da te.

Mio padre ha incontrato mia madre tra le vie di Sanremo più di vent’anni fa, quando prestava servizio in capitaneria. Oggi, a distanza di anni, mi parla ancora del loro primo incontro e, la luce che i suoi occhi emanano, è la stessa luce di quel giorno. Mi racconta sempre la scena del cornetto ai cereali e del suo viso stracolmo di zucchero a velo. Ha capito di amarla veramente proprio in quell’istante, ed ha iniziato a chiamarla zucchero a velo anziché per nome. Sai, da piccolo gli chiesi come avesse compreso che mia madre fosse quella giusta e lui, senza alcuna esitazione, mi disse che avrei riconosciuto la donna della mia vita ad occhi chiusi. “La guarderai e ti sentirai finalmente a casa. Ti sentirai completo. E saprai che potresti affrontare l’inferno solo per un suo sorriso.” Queste le sue parole.

Ho trent’anni, e ne ho incontrate di donne nello scorrere delle mie giornate. Poi sei arrivata tu…e finalmente ho compreso il significato delle parole di mio padre.

Tu mi completi, zucchero a velo. Mi fai sentire a casa. È come se tutto quello che ho fatto nella mia vita fosse in realtà un passo verso di te. E non importa cosa ci riserverà il futuro. Io desidero, con ogni fibra del mio essere, renderti felice. Voglio amarti e rispettarti per tutti i giorni della nostra vita.

I giorni passati al centro con la piccola e dolce Rachele mi hanno fatto desiderare ed immaginare scenari futuri insieme...più ti guardavo e più mi rendevo conto che solo tu saresti stata la donna perfetta da sposare, la madre dei nostri figli.

Zucchero a velo, tu mi hai rubato anima e corpo. Il mio cuore è legato indissolubilmente al tuo, per sempre, e mai nessuno riuscirà a separarli.

Tuo Alessio.

Copiose lacrime bagnano le mie guance mentre alcuni singhiozzi escono incontrollati dalla mia bocca.

Come posso renderti felice, amore mio? Come? Io non posso donarti il sogno di una famiglia. Non sono nient’altro che una donna spezzata, arida, destinata a trascinarsi lungo questi giorni che chiamano vita. Oh Dio… se ne avessi la facoltà, ti donerei tutta me stessa, il mio cuore, la mia anima! Scalerei le montagne più alte, attraverserei l’immensità degli oceani, affronterei l’inferno e tutti i fantasmi del mio passato solo per renderti felice! Ma dall’oscurità del mio abisso non si risale…ed io, io non posso farti questo. Non posso essere così egoista da legarti a me. Non lo meriti. Sii felice, amore mio. Vivi. Vivi per me”.

Una mano calda si poggia sulla mia spalla facendomi sussultare. Mi ero dimenticata di non essere sola. Cerco di asciugare le lacrime e nascondere il mio malessere ma mi risulta impossibile farlo, l’espressione del mio viso non mente.

«Eleonora, tutto bene?!».

«Si, va tutto bene…» rispondo controllando la voce.

«Non mi sembra. Ti va di parlarne?».

«Enrico in merito a Venezia…».

«Se è questo il problema non preoccuparti, possiamo non partire. Voglio che tu sia serena, Ele, il resto non conta».

«Dicevo, in merito a Venezia…verrò con te. Partiremo domani.».

I suoi occhi si illuminano. Le sue braccia forti mi stringono avvolgendomi, mentre le sue dita scorrono lungo la mia spalla in un movimento rilassante. I miei occhi si inumidiscono ancora ripensando alle parole di Alessio…ed io mi sento una codarda in questo momento perché non sono in grado di affrontare la realtà, di andare da lui e dirgli tutto quello che cela il mio cuore, di confidargli le mie più grandi paure ed il mio desiderio di saperlo felice. Non potrò mai regalargli la gioia di diventare padre. Partire con Enrico è l’unica soluzione.

Perdonami Alessio, ma non potrò mai donarti il sogno che hai sempre avuto di me.

***

Alessio

Eleonora è sposata. Eleonora ha un figlio. Eleonora mi ha mentito sin dall'inizio”.

Non riesco a spiegarmi come abbia potuto nascondere la verità. E poi, dov'è suo figlio? Una come lei tanto premurosa, che lavora in una casa famiglia per bambini, come ha potuto scappare e lasciare un marito ed un figlio a Genova e ricominciare tutto con un altro uomo? Mille dubbi, tanta rabbia. Sono furioso, e rido da solo mentre sorseggio la quarta birra. Dopo esser scappato via da quel quadretto familiare ed essermi frantumato una mano, che mi fa un male cane, non ho avuto il coraggio di rientrare a casa e mi sono intrufolato nel primo pub che ho trovato aperto. Per fortuna l'alcool riesce ad alleggerire sempre la mia mente. Il mio cervello non connette più. Una biondina carina si avvicina al mio tavolo sculettando. La mini gonna che indossa lascia libero spazio all'immaginazione.

Come può un uomo sano di mente non impazzire davanti ad una tale visione?”.

«Tutto solo soletto, bello?». La distanza che ci separa è nulla. Il suo forte profumo mi fa venire la nausea, proprio come il suo cattivo alito che sa di alcool. Poco importa che non sia perfetta, non me la devo di certo sposare.

«Ti aspettavo, dolcezza, ci hai messo tanto ad arrivare» le rispondo senza filtri.

La ragazza capisce l'antifona e si siede sulle mie gambe. Inizia a massaggiarmi il petto con movimenti profondi, scendendo pian piano giù verso la patta dei miei pantaloni, mentre avvicina il suo viso al mio collo, mordendolo. Le giro di scatto il volto e con fare aggressivo le introduco la lingua in bocca. Ho voglia di farle male, di scaricare contro di lei questo malessere che mi impedisce di respirare bene e che mi stringe forte il cuore. Lei sembra accorgersene e si stacca ansimante.

«Piano, zuccherino, mica scappo!» mi dice con aria divertita.

Zuccherino?”.

La guardo negli occhi e mi sento uno schifo. Non sono quegli occhi verdi, profondi e limpidi che tanto amo. Mi blocco quasi sorpreso dal panico. Non posso… Con delicatezza sposto la ragazza dalle mie gambe, pago il conto e mi dirigo verso l'uscita.

«Ehi, ma perché vai via? Non sarai mica gay?» mi urla alle spalle, incuriosendo la gente seduta intorno che si volta a guardarci.

Sono un caso disperato: un mese fa una ragazza non si sarebbe mai permessa di dire una cosa del genere nei miei riguardi. Oggi poco me ne importa, che pensi pure che sia gay!

Sono le due di notte, cerco di non fare rumore mentre apro la porta di ingresso. Dopo un mese ritorno a dormire a casa, nel mio letto. Mia madre è seduta sul divano. Stranamente ho l'impressione che mi stia aspettando, sospetto ci sia il solito zampino di zia Clelia. Il suo sguardo si posa sulla mia mano che sanguina ancora un po'. Chiude gli occhi per una frazione di secondo e, senza proferir alcuna parola, si avvicina alla credenza, dalla quale ne estrae del cotone e del disinfettante. Poggia il tutto sul tavolo e mi guarda con un’espressione seria sul volto.

«Non ho voglia di parlarne, mamma. Va’ a dormire, è tardi. Domani dovrai andare al lavoro presto».

«La tua ferita deve essere disinfettata, subito!».

Lo dice con tono autoritario, come fa una mamma con un bambino che è appena caduto da una bicicletta ed è rientrato a casa con le ginocchia sbucciate. Mi siedo sulla sedia mentre lei inizia con cura a disinfettare la mia ferita. Tra un gesto e l'altro sospira frustrata. Sono sicuro che stia facendo una notevole fatica a stare zitta. Terminato di disinfettare la mia mano, ripulisce il ripiano, mette in ordine il materiale, e si para dinanzi a me.

«Grazie, mamma» le dico mentre alzandomi dalla sedia l'abbraccio. È così minuta e piccola tra le mie braccia. Finalmente le mie narici aspirano un profumo dolce, simile a quello della mia Eleonora: il profumo di una donna vera.

«Ti voglio bene, Alessio».

«Ti voglio bene anch'io, mamma». Una frase semplice che avevo bisogno di ascoltare, dopo una serata che mi ha cambiato la vita.

Salgo le scale e mi fiondo in camera da letto. Mi tolgo i vestiti di dosso e mi precipito in bagno, dove mi concedo una doccia rigenerante. Ne ho proprio bisogno. Indosso il pigiama e mi metto a letto. Un po' per la stanchezza, un po' per l'alcool in circolo, finalmente mi addormento, lenendo solo per un po’quel vuoto che mi sta divorando l’anima ed il cuore, già con la consapevolezza che domani sarà ancora peggio.

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News » Il racconto della Domenica - Sede: Nazionale | domenica 28 agosto 2016