Un'amicizia (1936) e un incontro (2009)26/2/2021

Memoria per Un'amicizia (1936) e un incontro (2009)

Aggiungi il tuo ricordo al diario

Un'amicizia (1936) e un incontro (2009)26/2/2021

di Francesco Alessi (Liberamente ispirato alla narrazione di S. Palascino)

Berlino, 4 agosto 1936. Siamo in piena affermazione del regime nazista. Nel faraonico impianto dell’Olympiastadion si celebra la finale di salto in lungo. Occhi puntati da parte di tutti i 120.000 spettatori presenti su due protagonisti della specialità, il campione americano Jesse Owens un nero dell’Alabama, che il giorno prima aveva vinto l’oro nei 100 metri piani e il tedesco Carl Ludwig Long, detto Luz, nato a Lipsia. Il primo, ariano per eccellenza: alto, biondo, carnagione chiara, sguardo fiero. Questi è considerato uno tra i migliori saltatori di Germania. Aveva, del resto, dei precedenti molto importanti, rappresentativi del suo mito. Nel 1934, due anni prima, ai campionati europei di atletica a Torino aveva vinto la medaglia di bronzo con un salto di 7,25 mt, con atleti di chiara fama, come il norvegese Berg, che aveva saltato mt 7,31, medaglia d’argento e la medaglia d’oro, il connazionale Leichum, con mt. 7,41. Questa volta però a contendergli la medaglia (e il gradino più alto del podio) non sarà un “ariano biondo dagli occhi azzurri”, ma una sorta di “marziano” un “extraterrestre di colore”, quel Jesse Owens di cui si è detto, ma non solo: ci saranno il giapponese Naoto Tajima e il primatista italiano Arturo Maffei. Avversari ariani solo in parte. Come qualificare il giapponese dagli occhi a mandorla, infatti? Se per Owens non sarebbe stato un problema definirlo “di colore” e per l’italiano Maffei non sussistevano problemi di arianesimo, quale sarebbe stata l’appartenenza razziale di un giapponese, anche esso alleato (proprio in quell’anno) della Germania e dell’Italia nel c.d. Patto d’Acciaio? Chiaramente le cronache danno un esito scontato: le cronache dell’epoca, ma anche quelle successive. Nulla che desse un chiaro riferimento ai fatti. I fatti, già, il terzo incomodo della situazione. I fatti che spariscono per dare alle cronache l’appiglio di una narrazione possibile, quando la possibilità fa rima con credibilità. La cronaca credibile da per scontato, allora, che il Fuhrer, presente all’incontro, non abbia voluto premiare personalmente Owens perché, appunto, di colore; la cronaca del tempo (e del regime) ne avrebbe sminuito la prestanza atletica. In poche battute, ecco che i fatti – come per magia – scompaiono e si afferma la narrazione, del resto già nota e che qui non riprenderemo.

I fatti dicono, infatti, altro: malgrado le forti tensioni esistenti fra Stati Uniti e Germania, nei giorni precedenti la finale Long e Owens hanno fatto amicizia, sia in pista che fuori. Ma è proprio in pista, nella fase delle qualificazioni, che Luz Long si mostrerà straordinariamente sportivo, in modo da essere negli anni successivi consegnato alla storia dell’atletica; e ciò ancor più e prima ancora dei suoi meriti sportivi. Le qualificazioni per il salto in lungo sono in contemporanea con quelle dei 200 metri piani. Pare che Owens, coinvolto in entrambe le specialità, nelle prime fasi del salto in lungo non sia riuscito a concentrarsi compiendo due salti nulli. Luz Long gli si avvicina e gli suggerisce di staccare 20 centimetri prima della linea di battuta e, per indicare il punto, gli getta per terra un fazzoletto. Il saltatore americano si fida del tedesco e, al terzo e ultimo tentativo si qualifica per la finale del salto in lungo. Nella finale del 4 agosto Long arriva a saltare mt 7,87, Tajima mt. 7,74 e Maffei mt. 7,73. Ma l’impresa di Long non può nulla contro il saltatore americano. Questi, dopo un primo salto nullo, vola a mt. 7,94 prima e a mt. 8,06 dopo. Così in uno stadio ammutolito e incredulo, Luz Long sarà il primo a congratularsi con Owens, suscitando l’applauso dei 120.000 dell’Olympiastadion. Jesse Owens si abbandona ad un turbinio di emozioni, difficili da controllare. Long, teutonicamente, lo abbraccia. E’ vero, però. Alcuni giorni prima, per evitare inconvenienti, si era deciso che non ci sarebbero state strette di mano da parte del Fuhrer. A nessuno. Si trovarono, Owens e Hitler, nell’Olympiastadion, faccia a faccia. Pare sia anche vero, comunque, che Adolf Hitler si alzò, lo guardò intensamente e lo salutò agitando la mano, cosa che fece, ricambiando, il “nero” Owens, che anni dopo, avrebbe parlato di una ostilità cucita addosso a quei giorni e dovuta sostanzialmente al colore della pelle di questi; ostilità che non ci fu affatto. Arturo Maffei, testimone oculare di quei giorni, confermerà quanto riferito da Owens. Diversamente da quanto si sarebbe portati a credere, Roosevelt non ebbe il coraggio di replicare il gesto di saluto di Hitler, forse per non sfigurare nei confronti dell’elettorato bianco americano. Nessuna stretta di mano, nessun telegramma, nessun ringraziamento per Owens, che al suo rientro in patria non sarebbe nemmeno stato ammesso a dormire negli hotels di New York City e fu trattato come un fenomeno circense organizzando per lui delle corse contro i cavalli.

La carriera sportiva di Luz Long continuerà ancora. Nel 1937 migliora il proprio record personale, saltando mt. 7,90 e stabilendo un primato tedesco che durerà per oltre 40 anni. Nel frattempo, si laurea in legge, si sposa e nel 1941 ha un figlio, Kai. I due atleti non si rincontreranno mai più, ma si terranno saldamente in contatto, scambiandosi una fitta corrispondenza. Verso la fine del 1942 le truppe dell’Asse iniziano un arretramento su tutti i fronti e, in quella che ormai è una guerra totale non hanno alcun esito a richiamare in combattimento Luz Long, mentre Owens non va in guerra. Il tedesco viene prima inviato in Polonia e poi in Nordafrica. Sarà qui che scriverà questa lettera, che merita di essere riportata per intero: <>. Arruolato col grado di Obergefreiter (Caporalmaggiore) nel I° reggimento della divisione Hermann Göring come addetto alle batterie antiaeree, nel maggio 1943 Long è in Sicilia. Ed è proprio in Sicilia che si apre il secondo capitolo della vita di Luz Long. La 10^ Compagnia Flak, cui appartiene, al comando del capitano Wolfgang Hartmann combatte strenuamente. Il 14 luglio 1943, circa quattro giorni dopo lo sbarco degli americani, Luz Long viene ferito a morte nel corso di un combattimento: caricato a spalle da un commilitone, viene abbandonato ai margini della pista del piccolo aeroporto di San Pietro, presso Biscari, l’odierna Acate, vicino Ragusa. Il corpo dell’ex olimpionico tedesco verrà recuperato dagli americani, che lo seppelliranno in una fossa comune con i corpi dei caduti italiani e tedeschi presso il cimitero di Biscari. Il 13 agosto 1943, circa un mese dopo dai fatti, i corpi vengono riesumati e sepolti presso il cimitero di Ponte Olivo, vicino a Gela. Nel 1958 il cimitero di Ponte Olivo verrà smantellato e i caduti, nuovamente riesumati, vengono collocati nel sacrario militare a Catania. Luz Long riposa oggi insieme ad altri 4651 soldati tedeschi, nel cimitero militare germanico di Motta Sant’Anastasia, vicino Catania. Il suo nome compare inciso nella cripta n. 2 “Caltanissetta”, un nome inciso su lastra di ardesia, recante il grado “Obergefreiter d-R”, cioè “appuntato riservista” e seguito dalle date di nascita (27 aprile 1913) e di morte (14 luglio 1943). 30 anni. E’ tutto quello che resta di Luz.

Berlino, 22 agosto 2009. Sicuramente loro non se lo erano chiesto mai. Perché diavolo Carl Ludwig Long, sì, lui l’ariano per antonomasia, l’ariano fra gli ariani, il biondissimo che aveva incantato la Germania che fino in fondo aveva seguito Hitler, nella buona e nella cattiva sorte, gonfiandosi il petto dei suoi inni in quelle giornate di sole e sportività e sprofondando con lui 9 anni dopo, perché avesse riconosciuto al nero d’America, bistrattato in Patria, rispettato (sicuramente non osannato, ma rispettato) in Germania, avesse riconosciuto in Owens un vero amico, oltre che un atleta dalle indiscusse doti, superiori a lui. In quel gesto del fazzoletto l’umanità sportiva. Nell’ultima lettera l’umanità disperata, l’orrore negli occhi, la morte vicina. Luz aveva scelto come migliore amico un nero e da lui sarebbe stato ricambiato. Non se lo erano chiesto mai, Marlene Dortch e Kai Long, rispettivamente figli di Jesse Owens e Luz Long e non se lo chiesero nemmeno il 22 agosto 2009, quando si incontrarono a Berlino e si abbracciarono, senza dire una parola. Perché la verità a volte si fatica a riconoscere, non si può, o non si vuole, ammettere. Non una parola su ciò che il Nazismo ha rappresentato per l’umanità o la Storia, solo la restituzione della memoria ai fatti. E in un abbraccio la storia di una amicizia restituita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA copyright www.ilgiornaledelricordo.it

Aggiungi il tuo ricordo al diario


Il Giornale del Ricordo

Scrivi il tuo ricordo