Commento alla parabola dell'amministratore scaltro25/9/2019

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Commento alla parabola dell'amministratore scaltro25/9/2019

di padre Giacobbe Flavio D'Angelo - Ordine dei Frati Minori di Sicilia

Il brano del Vangelo della XXV Domenica del tempo orfinario - Anno C - è ritmato da una parola che ritorna a più riprese, cinque volte in tutto, nel giro di poche righe. Chiaro allora che questo termine è un po’ la chiave di violino di tutta la parabola raccontata da Gesù.
Per poterla leggere correttamente bisogna fare attenzione al reale significato di questa parola chiave: il sintagma “disonesto”.

Dobbiamo fare una premessa: quando leggiamo un testo antico come il Vangelo è necessario considerare che non si tratta di linguaggio contemporaneo e neppure della nostra stessa cultura. In un certo qual modo è come essere raggiunti da un idioma straniero di cui afferriamo il suono ma non comprendiamo le parole: è necessaria la traduzione. Analogamente, quando leggiamo i vangeli, dobbiamo considerare che essi sono stati pensati in aramaico, una lingua semitica, per di più da una mente non aramaica ma ebraica. Quindi sono stati trasposti in greco, lingua indoeuropea, e spesso, più che una traduzione, il risultato finale è una sorta di traslitterazione concettuale che fa il calco alle accezioni originarie ebraiche.

Venendo al significato del termine “disonesto” che come un leitmotiv ritorna più volte nel discorso di Gesù ai discepoli, esso non ha una valenza morale ma ontologica. La sua accezione non è quindi quella di “malvagio”, “iniquo”, “cattivo” ma di “mondano”, “temporale”, “transeunte”.
In poche parole il discorso di Gesù si muove su due piani: quello del tempo e quello dell’eternità. Col suo arcaico linguaggio, Gesù traccia una linea di paragone fra quanto appartiene alla vita terrena e quanto, invece, a quella spirituale.

Fatte queste necessarie premesse e date queste corrette interpretazioni di ciò che nel contesto letterario dell’odierno brano del Vangelo Gesù intende per “disonesto”, diventa più facile comprendere cosa il Signore voglia dirci con un linguaggio che di primo acchito ci stordisce.

L’amministratore della parabola, infatti, non è una persona disonesta nel senso che intenderemmo noi. Non è un imbroglione, non è un ladro.
Semplicemente è un uomo che nel gestire i beni del padrone non li ha fatti fruttare bene come avrebbe dovuto. Diremmo nel nostro linguaggio economico che non ha saputo investire bene il capitale che gli è stato messo in mano. Quando si rende conto che per tale motivo ha perso la fiducia del suo datore di lavoro, allora anziché disperare, cerca di rifarsi ma in maniera lecita: intanto, scontando il debito dei clienti nei confronti del suo padrone e facendo rientrare così buona parte del capitale affidatogli.

Al riguardo c’è da capire che in genere, al tempo di Gesù, l’amministratore non riceveva un regolare stipendio ma viveva dei proventi del suo stesso investimento; dunque il proprio guadagno lo traeva da una parte dello stesso profitto.
Nella fattispecie, l’amministratore della parabola attua uno sconto non a carico del padrone ma rinunciando al suo personale guadagno. In questo modo sfugge a una possibile denuncia del suo principale e si guadagna pure la fiducia di nuovi potenziali datori di lavoro.

Gesù approva questa abilità, diremmo noi astuzia, di non darsi mai per vinti e di riprendersi velocemente da situazioni sfavorevoli.
Il Signore sostiene che gli uomini di mondo sono più capaci di reattività e di adattamento alle situazioni penalizzanti del tempo presente rispetto agli uomini più spirituali.
Forse la ragione di ciò è anche fisiologica: chi non ha orizzonti di eternità e non crede in Dio, conta più su se stesso e affina meglio le proprie armi, perché si gioca la partita unicamente nello scenario terreno. L’uomo spirituale, invece, si proietta maggiormente nell’eternità e confida di più nella grazia, al punto, però, che certe volte dimentica che la vita futura deve guadagnarsela in quella di quaggiù, quindi pure costui deve ugualmente darsi da fare, come e anche di più dell’uomo terreno.

Ecco allora il senso della parabola e la chiara conclusione di Gesù che ci esorta a guadagnare con la ricchezza temporale i meriti celesti ed eterni della grazia, sfruttando al meglio ogni risorsa per compiacere Dio.

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