Dove Lituania, Lettonia e Bielorussia si incontrano5/10/2025

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Dove Lituania, Lettonia e Bielorussia si incontrano5/10/2025

di Giovanni Curatola

Lituania. Direzione Nord-Est, confini con Lettonia e Bielorussia. Un dedalo di statali e vie simili, la cui striscia d’asfalto grigio taglia campi, boschetti d’alberi e paesini dove vecchie dacie di legno qua e là disseminate si inframezzano a fermate del bus in cemento armato e altri piccoli edifici di epoca sovietica, squadrati con l’intonaco scrostato. Al rigogliosissimo verde è destinato il compito, perfettamente riuscito, di celare simili, e per la verità piccole e sporadiche, brutture architettoniche.

Ore 14.05: un improvviso contrattempo...fisiologico di chi scrive impone alla famigliola una sosta in quel di Kazatiskis, ameno paesucolo sperduto nel nulla, comprendente piccole e vetuste abitazioni di campagna. Unica attività commerciale del paese, un piccolo supermarket installato all’interno di un prefabbricato di lamiera colorata a forma di dacia. La proprietaria, donne gentile ma totalmente asciutta di inglese (come la maggior parte dei lituani, del resto), mi mette a disposizione il suo piccolo servizio igienico. Qualche dondolìo in altalena del mio secondogenito e una piccola spesuccia al market, dal sapore più che altro sdebitatorio, completano questi tre quarti d’ora spesi in una località che altrimenti sarebbe rimasta anche a noi sconosciuta, dove non ci andrebbe probabilmente a morire neanche un gatto che invece ha insolitamente visto ben 4 turisti in una volta sola.

Ore 14.50: di nuovo in macchina, per altri 45 minuti di verde, alberi e poche case, fino a Tilze. Qui le scorte alimentari prese poco fa a Kazatiskis finiscono. D’altronde sono le 15.35. A Tilze si costeggia un tratto del lago Druksiai, che affiora oltre la fitta distesa di alberi al lato della strada. La stessa strada, a un certo punto, da asfaltata si fa leggermente più piccola e sterrata, con tutte le incognite del caso. Il fatto però che non abbia piovuto esclude l’ipotesi di grandi pozzanghere che, coprendo l’intera carreggiata, impongono di verificarne la profondità con un piccolo ramo e dunque di scegliere, come avvenuto in Ungheria, fra la prudenza di desistere e il rischio di passare. Qui no, questo triangolo a Nord-Est della Lituania, che a breve diventerà Lettonia a Nord e Bielorussia ad Est, non chiama a simili azzardi. Quest’ultimo paese, poi, esercita in me un forte richiamo, perché Russia non è ma quasi. E non solo per il fortissimo legame socio-politico fra i due stati, ma anche per continuità geografica. Non a caso, le frontiere più sorvegliate e scrupolose sono fra U.E. e Bielorussia, perché una volta lì si è praticamente già in Russia. Continuando da Tilze per 3 km di strada sterrata di campagna, arriviamo appunto quasi al confine con la Bielorussia. Quasi, perché esattamente 300 metri prima, quando già immagino di sbucare in un’area inevitabilmente presidiata in armi, cinta da invalicabile filo spinato e marchingegni elettrici stile Guerra Fredda, un cartello giallo sotto un albero ci ferma. Traduzione: “Stop! Zona di protezione dei confini statali. Proseguire solo con un permesso rilasciato dal servizio di Guardia di frontiera statale”.

La tentazione di proseguire è forte, ma mettere a rischio la famiglia è pura incoscienza. Addio Bielorussia, dunque: sei dietro questa curva, ma ahimé non ti vedremo. Almeno per il momento. Ti leggerò soltanto sul cellulare, perché la Vodafone, non appena scendo per una foto davanti quel cartello, aggancia una linea telefonica d’oltreconfine che mi invia beffarda il messaggio “Benvenuto in Bielorussia”, seguito dalle tariffe di navigazione, di chiamate e ricezioni telefonate che non avverranno mai. Sono le 15.45: fatta marcia indietro, torniamo verso Tilze per un paio di chilometri. L’animo rassegnato è solo il mio. A un bivio, sulla sinistra, incontriamo un’anziana coppia che con un veicolo modesto stile “trabant” tedesco-orientale ci conferma lapidaria e categorica: “Baltarusija niet!”. Amen!

Da questo bivio in mezzo agli alberi parte (sempre sterrata) la strada per il confine lettone. E’ la n.5318. Decidiamo di percorrerla, rinunciando a una più sicura, larga ed asfaltata strada statale molto più indietro che ci farebbe allungare di un pò. Sperando così che lo sterrato ceda prima possibile a tratti asfaltati, percorriamo 3 chilometri a ritmo lento per non rovinare l’auto con le pietrine del fondo stradale e coprirla interamente di polvere. Alla nostra destra, alberi di vario tipo. A sinistra, prati incolti. Ci avviciniamo così al confine lettone avendone contezza sui cellulari, sotto un cielo limpido e un sole imponente.

Ore 16.13: dopo una curva si materializza davanti a noi una casupola disabitata con tetto a spiovente, ma soprattutto un cippo che spunta dall’erba alla nostra destra, poco prima della casupola. E’ il cippo che segna l’ingresso in Latvijas (Lettonia), bardato da due strisce oblique bordeaux che ne simboleggiano la bandiera. Contentezza che (almeno personalmente) ripaga dal fresco “smacco” bielorusso, e foto di rito. Il confine effettivo è comunque pochi metri più avanti, proprio al centro della casupola che altro non doveva e poteva essere che un valico di frontiera prima dell’U.E. Foto anche lì, e pure qualche chilometro dopo, quando è stavolta il tipico cartello blu con cerchio di stelle gialle a indicarci l’entrata in Lettonia. Tanta è l’adrenalina per aver messo piede in uno stato che moltissimo, per la sua storia, mi incuriosiva. A metà fra l’ironico e il provocatorio, invito moglie e figli a notare come la vegetazione da qui in avanti già appare più ordinata, gli alberi più simmetrici, i campi più curati. Ma è una auto-illusione che mi procurerà ripetuti sfottò dal mio primogenito: di fatto la natura, dalle 16.30 quando ripartiamo, prosegue della stessa bellezza e rigogliosità di prima. L’incognita adesso è invece capire quando finirà questo sterrato, che comunque aggiunge un tocco d’esotismo, e si tornerà a percorrere strade asfaltate.

La risposta arriva dopo ben 5 chilometri, alle 16.45, in prossimità di un bivio prima di un bel lago che poi scopriremo chiamarsi Akmenka. Rientrati “nella civiltà”, come sentenzia ironico il primogenito, la strada non cambia né dimensione né cornice paesaggistica. Per la capitale lettone ci sono ancora 240 chilometri, 3 ore circa e non meno. Presso Daugavpils, infatti, entriamo in autostrada, ma per una sola decina di chilometri, quindi è poi tutto un susseguirsi di strade provinciali che prima corrono grossomodo orizzontali verso Ovest, poco sopra del confine lituano, poi puntano a Nord, verso Riga appunto. Con l’approssimarsi del tramonto, il rossore del sole forma col verde della vegetazione (qui davvero, a dispetto del pargolo, più curata ed ordinata) giochi di luce gradevoli e rilassanti. Qualche breve sosta per esigenze urinarie in mezzo ai campi, qualche camion impossibile da superare data la strada a doppio senso, quindi alle 19.40 siamo quasi alle porte di Riga. Alberi stretti e alti del tipo già visti nella Germania sopra Berlino cingono i lati della E77, che diventa poi A5 e infine E22, che lambisce a semicerchio la capitale da Sud. Poco prima del ponte Beberbe?u, ecco la gradita sorpresa che pone di fatto fine a una bellissima giornata. Ci aspettavamo la classica insegna di ingresso città, e ci ritroviamo sulla destra quello che poi su “Google maps” vedremo indicato come “Monument Riga”: quattro enormi lettere bianche su una base di cemento su un prato formano, appunto, la scritta “Riga”. Siamo in città. Ogni lettera è di altezza doppia rispetto a un essere umano, sicché le foto di rito ci vedono saltar su e poi sbucare in mezzo ad esse...

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