L’antisemitismo come pornografia morale
07 dicembre 2025
Il fascino tossico dell’odio travestito da opinione
C’è un fenomeno inquietante che sta dilagando sui social e negli spazi opachi dell’informazione digitale: l’antisemitismo come forma di intrattenimento, come contenuto da consumare, rilanciare, manipolare. Non più un tabù, ma una deviazione che attira click, complicità e curiosità morbosa.
La sua diffusione somiglia in modo sorprendente a quella della pornografia: segreta, compulsiva, degradante. Una pornografia morale che non mostra corpi, ma ferisce coscienze.
È questo il nucleo dell’analisi di Mary Eberstadt, che offre una chiave di lettura potente: l’antisemitismo online opera come un veleno emotivo, creando dipendenza in chi lo consuma e corrompendo chi lo diffonde. Un circuito chiuso di provocazioni e risposte, che trasforma un peccato antico in un vizio moderno da sfogliare con il pollice.
Non è un tema politico: è una crisi spirituale
Gli episodi che abbiamo osservato negli ultimi anni: interviste senza contraddittorio, influencer che flirtano con retoriche estremiste, comunità digitali che si radicalizzano; hanno mostrato quanto questa nuova forma di odio sia penetrata in contesti insospettabili.
Ed è qui che si rivela il paradosso più grave: parte dell’antisemitismo contemporaneo nasce proprio in ambienti che si definiscono cristiani.
Eppure la dottrina cattolica è cristallina da decenni. Con Nostra Aetate, il Concilio Vaticano II ha riconosciuto il legame profondo e irrevocabile tra cristiani ed ebrei. Ha condannato l’antisemitismo senza eccezioni. Ha ricordato che la radice della fede cristiana affonda nell’Antico Testamento, nei Patriarchi, nei Profeti, nel popolo d’Israele.
Eppure oggi devono essere ripetute parole che dovrebbero essere ovvie: l’antisemitismo è incompatibile con il Cristianesimo.
Quando la fede diventa un alibi e non una guida
Nelle nicchie della rete assistiamo a un uso distorto del linguaggio religioso: simboli identitari travisati, citazioni bibliche svuotate di senso, slogan spirituali trasformati in armi. Giovani credenti, spesso sinceri, vengono risucchiati da influencer che sfruttano l’estetica del sacro per spingere contenuti profondamente anticristiani.
Il loro linguaggio si veste di liturgia, ma il messaggio è di odio.
Il risultato è un cortocircuito: chi proclama “Cristo è Re” finisce paradossalmente per tradire ciò che Cristo ha predicato.
Così, l’antisemitismo digitale diventa un rito perverso: un brivido immediato, una gratificazione segreta, un impulso che umilia l’altro e inquina chi lo pratica.
Cristiani ed ebrei: un’alleanza spirituale che resiste al tempo
La storia recente ha parlato con forza. Dopo gli eventi del 7 ottobre 2023, abbiamo visto esplodere online un’ondata di odio che non ha risparmiato nemmeno gli ambienti religiosi. Eppure proprio in quel momento è riemersa una verità antica: cristiani ed ebrei condividono lo stesso nemico, la stessa fragilità, la stessa missione.
Entrambi difendono la vita in un’epoca segnata da nichilismo, disumanizzazione e violenze ideologiche. Entrambi restano radicati in una spiritualità che il mondo fatica a comprendere. Entrambi custodiscono un’eredità che disturba i fanatici e irrita i mercanti dell’odio.
Una chiamata alla responsabilità, senza più alibi
È qui che il paragone di Eberstadt diventa illuminante. I cristiani sono stati tra i primi a denunciare i danni della pornografia, dopo anni di silenzi e imbarazzi. Hanno capito che degradava relazioni, persone, spiritualità.
Oggi è tempo di riconoscere che l’antisemitismo funziona allo stesso modo. Corrode il cuore più di quanto corrompa il pensiero. Trasforma il peccato in passatempo. Fa della menzogna un contenuto virale.
Chi si definisce cristiano non può restare a guardare.

Il punto: non è solo un problema ebraico. È un problema cristiano.
Sessant’anni dopo Nostra Aetate e decenni dopo le intuizioni profetiche di Sheen, il messaggio è immutato: l’odio verso il popolo ebraico è un tradimento del Vangelo.
Non esiste un’eccezione, non esiste una sfumatura accettabile, non esiste una giustificazione.
Il cristiano di oggi si trova davanti a una scelta semplice, ma decisiva: proteggere il legame con i “fratelli maggiori” della fede oppure lasciare che il fango digitale diventi normalità.
In un’epoca dominata dall’algoritmo, non è solo un gesto morale. È un gesto identitario. Una dichiarazione su chi siamo e su chi vogliamo essere.
di Giorgia Pellegrini
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