MONZA 1991: UNA COPPA PERDUTA E UN’AMICIZIA TROVATA

24 settembre 2018

di Giovanni Curatola

La prima trasferta al seguito della mia squadra, nata quasi per caso sulla scia dell’entusiasmo per la fresca promozione del Palermo in Serie B, coincide con l’inizio di una delle amicizie più care, lunghe e profonde. Vent’anni ha Francesco, uno in meno io. Entrambi tifosi e frequentatori della Favorita senza esserci conosciuti prima, ci troviamo catapultati in un ambiente (quello ultras) di cui condividiamo abbastanza l’ideologia ma abbastanza meno taluni eccessi violenti. Ma, vuoi o non vuoi, quella prima esperienza che ci siamo prefissi di vivere (finale di Coppa Italia di Serie C a Monza) passa attraverso quell’ambiente, per cui la sposiamo e amen. E poiché legge non scritta vuole che i simili si prendano fra loro, sui binari che portano a Milano noi due, fra centinaia di ultras, ci siamo trovati subito. Il 2 giugno di quell’anno (1991) il Palermo come detto è stato finalmente promosso in Serie B dopo 5 anni di sofferenze (radiazione, Serie C2 e 2 campionati di C1 giocati a Trapani). L’entusiasmo in città è palpabile e la società rosanero ha messo gratuitamente a disposizione dei tifosi il viaggio in treno per Monza, dove si assegnerà la Coppa dopo il pareggio dell’andata. Di sera passo in bici dai club ultras, in via Mongerbino, dove raccolgono le adesioni. La calca è tanta, e in modo frenetico mi ritrovo arruolato. Come me, senza avere neanche lui il tempo di capirci più di tanto, è arruolato anche Francesco. Che anni dopo ricorderà così quei momenti: “Quell’11 giugno era per me una giornata come tante, sospese tra il testo di Diritto Romano e la curiosità di vedere questi famosi club. Non pensavo minimamente alla trasferta. L'atmosfera quella sera in via Mongerbino era surriscaldata, e un tizio paonazzo ed esagitato mi urlò in faccia: "Ci’ha a bènere (devi venirci) a Monza?" con quell'aria arrogante tipica palermitana. Non feci in tempo a chiedermi "E adesso chi lo dice a mio padre?" che subito un ragazzo come me, dall'aria pure lui un po' frastornata ma dalle idee più chiare, mi disse, per giunta non in dialetto ma in perfetto italiano: "Scusa, vai a Monza anche tu"? Chi poteva immaginare che quella frase sarebbe stata l'origine di un'amicizia ininterrottamente condita negli anni successivi da mille avventure in Italia e in Europa? Tornai a casa contento di aver trovato, in mezzo a quella folla, un compagno come me per questa avventura. Credo che non sarei stato in quel treno senza di lui”. Lascio il nuovo amico al suo motore e ci diamo appuntamento per l’indomani in stazione.

Lì arrivo in metrò intorno alle 14.30 e conosco i suoi genitori, che si tranquillizzano. Tra i tifosi c’è confusione: non si sa ancora se partiremo con un treno speciale o meno. Poi ci sistemano su 4 vagoni interamente a noi riservati, in coda all’espresso Palermo-Milano. Alle 15.55, tra cori da stadio, si parte. Siamo in tutto quasi 400, stipati in 8 /9 dentro ciascun scompartimento. Eccetto qualche sfottò a Messina, il viaggio procede tranquillo sino in Calabria. Alla stazione di Paola, saranno le 23.00 circa, un bello spirito dal treno offende una ragazza nella banchina. Il fidanzato risponde, in suo soccorso giungono altri ragazzi del posto. Dal treno i “nostri” tirano il freno e scendono. Segue lite con fitta sassaiola che coinvolge una decina di persone da ambo le parti. Qualche vetro va in frantumi. Io e Francesco temiamo che salga la polizia e, nel mucchio, schedi anche noi. Per fortuna poi il treno riparte senza conseguenze, ma di dormire neanche a parlarne! Il caldo provocato dall’essere accatastati l’uno sull’altro, il nauseante odore di piedi, di canna che qualche irrimediabile ultrà si accende e le urla di chi gode a non far addormentare nessuno, completano questo quadro di disagio. Siamo in mezzo a gente diversa da noi ma che ti rispetta, che condivide con te il suo panino e, in caso di incidenti, ti difenderebbe anche. Perché hai al collo la loro stessa sciarpa, sei in viaggio per il stesso obiettivo, e soprattutto perché avverte che completamente come loro proprio non sei. Diverso quantomeno da conoscere lingua italiana e geografia quanto basta da rispondere a chi ci chiede se a Napoli “am’a traghettàri arrère” (“dobbiamo traghettare di nuovo”).

Giovedì 13 giugno. Si dorme un po' solo nelle mattinate, tra Roma e Firenze. A Bologna, poi, qualche mente più colta delle altre realizza che siamo al Nord e iniziano cori e offese contro i “polentoni”. Nel vagone dei “capi ultras” ci vengono dati a tutti delle tesserine che servono per il biglietto allo stadio e per il treno di ritorno. Io so già che non tornerò giù con loro. Avvicinandoci a Milano, cresce l’entusiasmo. Siamo nel corridoio con le sciarpe al polso fuori i finestrini. Si canta. Stringo amicizia con Francesco proprio lungo le stesse rotaie su cui, 6 anni fa e in un contesto totalmente differente, avevo conosciuto Caterina: miracoli ferroviari lungo la via Emilia! Alle 11.25 arriviamo a Milano Centrale. Una marea rosanero scende dal treno gridando uno slogan che (più per goliardia che reale convinzione) cantiamo anche noi: “Un solo grido, un solo allarme: Milano in fiamme!”. Ad aspettarmi per unirsi a noi c’è un altro Francesco, che col Palermo non c’entra nulla: è l’amicone comasco, sorpreso di vedermi in questo contesto, che forse un po' pure lo intimidisce. La polizia ci scorta in un’altra banchina da dove partiamo alle 12.00, coi due “Franceschi” che faccio conoscere tra loro. A Monza si gira liberamente. L’atmosfera è pacifica e tranquilla, i drappelli rosanero sono ovunque, ingrossati dai tanti emigrati al Nord e da palermitani venuta con altri mezzi. Nessun tifoso locale osa farsi vivo, probabilmente per evitare problemi. In piazza si improvvisano perfino partite a pallone tra tifosi rosa e gente locale. A metà pomeriggio il Francesco “polentone” risale a Como, e dei ragazzi di Lissone portano in macchina me e l’altro Francesco davanti lo stadio “Brianteo” e con cui facciamo lì davanti due tiri a pallone. Prima delle 19.00 la massa rosanero entra allo stadio. Siamo in curva nord. In tutto, tra noi 400 arrivati col treno, 200 con altri mezzi e quasi un migliaio di emigrati siciliani residenti da queste parti, siamo oltre 1.500, più dei padroni di casa (3.000 spettatori in tutto). Offese e sfottò reciproci nel pre-partita, poi alle 20.30 inizia la finale. Il Palermo è in maglia bianca. Primo tempo senza grosse emozioni. All’intervallo usciamo per bere al bar in strada, poi anziché rientrare mi porto verso la tribuna dove c’è (o almeno dovrebbe esserci) mio cugino Roberto che segue il Monza per un giornale locale. C’è? Non c’è? Alla fine, non c’è! E quando torno da fuori davanti la curva, la partita è ripresa e i cancelli sono chiusi. L’inferriata esterna la scavalco senza problemi, quella interna me la aprono dei poliziotti a cui spiego il fatto. Torno da Francesco dopo aver perso praticamente metà del secondo tempo. Si è sempre sullo 0-0. All’89’, quando già ci stiamo preparando mentalmente ai supplementari, il Monza va a segno nella curva opposta alla nostra e poco dopo alza la Coppa.

La delusione è cocente in tutti. Qualche esagitato la sfoga abbandonandosi a vandalismi sui bus che ci riportano in stazione. “Aviss’a bruciare Monza cu tutt’u Piemonte!” (“Dovrebbe bruciare Monza con tutto il Piemonte!”) urla un altro che non brilla certo in geografia… In stazione, ancora maretta, stavolta con la polizia. Poi all’improvviso giungono dei nostri tifosi con uno striscione rosso appena rubato ai monzesi. Cantano contenti per quella preda presa al nemico, che ha quasi fatto passare in secondo piano la Coppa persa. Io e Francesco ci guardiamo allibiti. Poi, in un modo o nell’altro, i tifosi sono fatti risalire dalla polizia sul treno che alle 23.45 ripartirà verso Milano. Io mi nascondo la sciarpa per meglio uscire da quella massa, anche se far capire a qualche poliziotto che ho altri programmi non è affatto semplice. A Francesco mi riesce solo un saluto a distanza, di cui neanche se ne rende conto. Scriverà successivamente: “Rimasi un po' dispiaciuto di non essere tornato più con Giovanni. Ma non ci eravamo persi di vista: quello sarebbe stato solo il primo capitolo di una bella amicizia”. Intanto in stazione c’è anche una ragazzina con la mamma, addossata a una parete e atterrita da quello sciame di scalmanati. Per un istinto di protezione, mi avvicino e le metto al collo la sciarpa che mi ero nascosto in tasca. La mamma all’inizio teme qualcosa, poi capisce che quel gesto serve a sua figlia per essere scambiata per tifosa e quindi risparmiata dagli insulti di qualche “nostro” ultrà rosanero ritardatario che corre al treno in partenza. Lo sguardo poi di gratitudine di mamma e figlia me le porterò dentro con compiacimento, ma soddisfazione più grande è aver evitato che facessero di qualche animale sciolto tutt’un fascio etichettando in blocco, e male, tutti noi palermitani. In stazione siamo rimasti ora pochissimi. L’unico tifoso del Palermo, ormai io. Mi rimetto la sciarpa al collo forse un po' imprudentemente (tutta la polizia è ripartita in treno coi tifosi) e nel buio della notte di una stazione quasi deserta aspetto il treno delle 00.47 per Como. A bordo chiacchiero con un pendolare di Chiasso (il treno va in Svizzera), incuriosito dalla mia sciarpa. All’1.45 arrivo a Como, dove l’altro Francesco mi aspetta pazientemente da un’ora. Dormo da lui. Questo viaggio non finisce qui, la mia prima trasferta invece si. Prima di addormentarmi, ripenso a questa sfortunata ma bella esperienza, rammaricandomi di non avere nessuna foto ricordo. E decido all’istante, lì nella quiete notturna delle pre-Alpi comasche che dominano il Lago, che questo sarà l’ultimo viaggio senza macchina fotografica appresso. L’avevo in verità già portata a Parigi nel viaggio con la scuola del 1989, ma solo lì. Da ora in poi sarà un’abitudine. Monza docet.

 

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