India anno zero: Gokarna città sacra26/3/2019

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India anno zero: Gokarna città sacra26/3/2019

Testo, foto e video di Adriana Saja

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Questa piccola città riveste in India notevole importanza dal punto di vista religioso, ed è meta di pellegrinaggio da parte dei devoti induisti.

Il suo nome significa “orecchio di mucca”. E’ considerata il luogo di nascita di Shiva, una delle maggiori divinità indiane. Creatore del mondo, distruttore del male e trasformatore, sarebbe emerso dall’orecchio di una mucca, la madre nutrice, proprio qui a Gokarna.

Situata alla confluenza di due fiumi, il Gangavali e l’Aghanashini, il suo paesaggio è quello tipico costiero indiano, con ampie insenature e lunghe spiagge sabbiose che si affacciano sul Mare Arabico. Frequentata da molti turisti stranieri e indiani, s’è trasformata nel tempo anche in un centro balneare con numerosi ristorantini e strutture ricettive costruiti lungo il litorale.

Numerosi sono i templi cittadini e affollato il bazar che si estende nelle e tra le due vie principali. Una caratteristica piscina sacra, la Kotitheertha, che viene utilizzata per l'immersione di idoli e bagni rituali, è costituita da una vasca, in origine un lago naturale di acqua dolce alimentato da sorgenti in prossimità del mare, con al centro un piccolo santuario. I pellegrini che visitano il vicino tempio di Mahabaleshwara si lavano qui, pensando di cancellare in questo modo i propri peccati e, attraverso rituali per i loro antenati, di portare pace duratura alle generazioni passate e future.

Uno dei personaggi di Gokarna, quasi un’istituzione, è Mister Pai, indispensabile per qualsiasi straniero si rechi in questa parte dell’India. Agente di cambio improvvisato, prenota biglietti aerei, ferroviari o dell’autobus per ogni destinazione e fornisce qualsiasi tipo di informazione utile ai viaggiatori. Gioviale e sempre sorridente, ti accoglie con disponibilità a la solita calma pazienza con cui viene vissuta dagli Indiani qualsiasi contrarietà. Ha un piccolissimo ufficio, costituito semplicemente da una stanza con un bancone dietro al quale siede, circondato da innumerevoli carte, disposte disordinatamente sul suo piano di lavoro, e persino sul suo stesso ampio sedile. In ogni città dovrebbe esistere un Mister Pai, pronto a risolvere qualsiasi tuo problema di viaggio e di cambio di valuta.

Ad ogni ora del giorno e fino a sera inoltrata, è un continuo via vai di gente che compra nelle numerose bancarelle dove si vende di tutto, che si ferma a mangiare nei ristoranti o a gustare uno dei gelati tipici e per i quali Gokarna è famosa in India.

Ospita ogni anno un importante festival, il Maha Shivaratri, che significa letteralmente “la lunga notte di Shiva”, durante il quale giungono in città più di 20.000 pellegrini da ogni parte del paese. E’ celebrato alla fine dell’inverno e prima dell’arrivo dell’estate, a febbraio-marzo, in onore di Shiva, e segna il ricordo del superamento dell’oscurità e dell’ignoranza nella vita e nel mondo.

Si recitano preghiere, si pratica il digiuno e lo yoga, si medita sui valori etici e su virtù come l’autocontrollo, l’onestà, il non procurare dolore agli altri, sul perdono e sugli insegnamenti di Shiva, rimanendo svegli tutta la notte. L’origine di questa festa antichissima è sconosciuta.

Gli abitanti di Gokarna sono circa 25.000 e tra di essi c’è un discreto numero di stranieri, residenti per diversi mesi all’anno e provenienti da ogni parte del mondo. Io li chiamavo i “cittadini”, coloro cioè che preferiscono vivere in città attratti dalla vivacità della vita quotidiana, anziché, come me per esempio, in una capanna sulla spiaggia, nel silenzio e nella pace della natura.

La costa di questo tratto di India è magnifica. Numerose baie e ampi golfi si susseguono uno dietro l’altro intervallati da lunghe spiagge lineari, dove le onde del mare Arabico si infrangono a volte con una tale energia che , se non stai attento, ne vieni risucchiato, anche se la loro altezza non è elevata. La forza sì. Solo nella Middle Beach dove io vivevo, in un mese ben cinque ragazzi indiani hanno perso la vita. Inesperti nel nuoto, non conoscono il mare e probabilmente al seguito del risucchio di una di queste onde o di una corrente marina, hanno perso il controllo e sono andati in panico. E questo in acqua significa morire.

Una delle spiagge più belle è senz’altro OM Beach, a una trentina di chilometri da Gokarna. L’accesso è dato da una lunga scalinata che scende dalla terra soprastante. Due ampie baie formano incrociandosi al centro una grande Omega e da ciò il suo nome. Abbracciato dalle scogliere protese sull’acqua, qui il mare è calmissimo, quasi un lago salato, privo pressoché di onde o tumultuosi movimenti. La pace è diffusa dal cielo al mare e alla terra. Quando arrivai ne fui completamente inondata. Ed era quasi deserta. Come per non profanare la sacralità del luogo con un’eccessiva presenza di corpi, spesso assai rumorosa.

Mi tuffai e mi abbandonai alla placidità di quelle acque in uno stato di vera beatitudine. Un’altra di quelle sensazioni forti che ti fanno sentire la profondità dell’esistenza e inevitabilmente liberano la mente verso Dio e il mistero della vita. La ricchezza dell’India è tutta in questa energia spirituale che ti entra dentro, in questo fermare davvero il tempo. Non più prima e dopo, ma solo ora.

Rinfrescata dal bagno, decisi di fermarmi in un ristorante sulla spiaggia poco più sopra. Si assomigliano un po’ tutti questi locali, perche costruiti allo stesso modo, con bambù e palme. Mi avviai ad un tavolo e stavo per sedermi quando lo sguardo si posò su due giovani ragazzi dall’aria familiare. Naturalmente capii subito che erano italiani. Non avrei però mai immaginato fossero di Castellammare del Golfo, il paesino vicino Scopello dove io vado in vacanza ormai da quarant’anni, avendo lì una piccola casetta. Praticamente dei vicini di casa a migliaia di chilometri di distanza. I casi della vita. O come dissero loro, un mondo che è davvero piccolo. Giusy e Marco, così si chiamano, mi raccontarono del loro viaggio in India e mi colpì un luogo, a nord di Goa, dove si riuniscono gli “sballati” della terra, così li definii avendomi raccontato che molti giovani, sia indiani che stranieri, vi si riuniscono per consumare ogni genere di droghe e alcool. La cosa mi impressionò e dispiacque moltissimo. Ne provai una gran pena. Sprecare la propria gioventù annebbiandosi il cervello e rifiutando l’esperienza attiva della vita, mi sembra il peggiore dei peccati.

Li salutai con la promessa di rivederli poi in Sicilia, d’estate. Era l’ora di tornare verso casa.

Sulla strada del ritorno mi fermai a visitare un forte, anche se erano circa le due del pomeriggio ed il sole picchiava notevolmente. Ne valse la pena, perché è una costruzione davvero interessante, grandiosa e possente. Non ne avevo visti mai altri nella mia vita.

Il Mirjan Fort, questo il suo nome, a circa undici chilometri da Gokarna e ad otto chilometri a nord della città di Kumta, costruito sulle rive del fiume Aganashini.

Le versioni sulla sua origine sono diverse e si riferiscono a datazioni differenti. La più antica lo fa risalire all’inizio del 1200, per opera dei Nawayath, un’antica comunità islamica indiana.

Un’altra ne attribuisce l’edificazione, durante l’impero Vijanagara nel sedicesimo secolo, alla regina Chennabhairadevi di Gersoppa, una piccola città sulle rive settentrionali del fiume Sharavati, famosa per l’esportazione del pepe. Fu per questa ragione che i portoghesi la appellarono “Rani, la regina dei peperoni”. Rainha de Pimenta, in portoghese. Devota al gianismo, governò per 54 anni, facendo costruire molti Jain Basadis, santuari gianisti, e seguendo la tradizione della successione Alyiasantana o Matriarcale, diffusa anche nella fascia costiera del Konkan e del Kerala.

Questa religione è molto interessante perché aspira alla liberazione dal flusso ciclico e continuo dell’esistenza e dal karma. Quindi alla liberazione dalla sofferenza. Considera l’anima infinita ed eterna, mutevole, cosciente e priva di materia. Dotata di quattro perfezioni: la vista (darsana), la conoscenza (jnana), la felicità (sukha) e l’azione (virya).

Del tutto particolari sono poi le due sostanze indicate coi termini dharma e adharma, presupposti del movimento e della stasi. La tradizione racconta, per spiegarne il senso, che il dharma è come l’acqua per un pesce. Questi dotato di una sua propria capacità di nuotare, non potrebbe però esercitarla se non ci fosse il mezzo che glielo consente. E la stessa cosa vale per l’adharma. La stasi, la quiete. Che non potremmo avere se non esistesse come sostanza.

Il corpo con le sue passioni è per le anime determinato dalla materia, costituita da atomi che si aggregano insieme formando gli skandha (composti) e producendo i vari fenomeni della natura empirica.

Non c’è alcuna distinzione tra essere e divenire e la realtà è ciò che esiste e si manifesta, secondo la legge del mutamento (parinama). Non viene dunque negata verità alla manifestazione del reale, come nel pensiero del Vedanta, né questa viene considerata illusoria, come nel buddismo.

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