Il mio primo giorno di scuola

13 settembre 2016

Tdi Luca Figlioli

E’ forse vero il detto che più assano gli anni, più si invecchia, e più certi ricordi tendono a riaffiorare. Come se la vita fosse una catena circolare, che mette in moto pensieri che pensavamo sopiti. Fa strano, dopo i trent’anni, riportare a galla le sensazioni di quand’eravamo piccoli, le ingenuità dell’infanzia, la spavalderia di carta dei nostri sei anni. A ripensarci alcune delle sfide maggiori si compiono nei nostri primi anni di vita: la prima volta soli in casa, una nota sul diario. Il primo giorno di scuola credo fortemente sia una di queste: non ritrovare i genitori a due passi da noi, pronti a incoraggiarci, costituisce un serio dramma personale per chi è al mondo da pochi anni. Certo, prima c’era la scuola materna, ma vogliamo mettere? Le cose erano diventate inevitabilmente, inderogabilmente, complicate. Ripenso a quando, forte dei miei sei anni appena compiuti, varcai il cancello della scuola elementare: nessuna amicizia a confortarmi, solo espressioni sconosciute e smarrite come la mia. “Sei grande ormai“, sillabava la mia voce interiore, appoggiandosi a parole già sentite. A pensarci, i bambini sanno essere espulsivi, talvolta crudeli. Una battuta che non suscita il riso o un cognome buffo, possono seriamente costituire una partenza sbagliata; allo stesso modo l’espressione familiare di una persona già incontrata diventa un autentico salvagente. Il timore di non essere abbastanza alti e di sembrare un bambino più piccolo; l’esitare nel sedersi vicino ad una bambina per non venire marchiati come “fidanzatini“. A ripensarci le nostre preoccupazioni d’infanzia erano antitetiche a quelle di adulto: ci sarebbe da sperare, oggi, di sembrare più giovani, o che basti sedersi vicino a una donna perché sia tua. Ripensando ali anni successivi, alle medie prima, all’università e al lavoro poi, quelle stesse dinamiche le avremmo sempre ritrovate, nemmeno troppo mutate. In ogni posto in cui saremmo stati, per un pugno di giorni, “quelli nuovi“, “gli ultimi arrivati“, avremmo ricalcato le stesse situazioni: le strane regole del relazionarsi, il ghiaccio che sembra non incrinarsi mai. La sensazione di trovarsi fuori dal cerchio prima, la nebbia dell’imbarazzo diradata da una battuta fortunata poi. Ripenso alla semplicità con cui tutte le esitazioni e le ansie si erano infine polverizzate: quelle fragilità appartenevano a tutti noi, e c’erano scogli ben più ruvidi ad attenderci.

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