RICETTE CONTADINE AL TEMPO DI GUERRA
26 ottobre 2016
Testo e foto di Carolina Polo
«Nonna, nonna, ieri sera abbiamo mangiato patate bollite, cosa si mangia oggi?» «Mio caro figliuolo, oggi cucino per te e per i tuoi fratelli una prelibatezza! Vedrai, vedrai come ti piacerà! Oggi per pranzo, ci sono le patate lesse!» É così che durante la Seconda Guerra Mondiale si sopravviveva nelle campagne lombarde. Le materie prime scarseggiavano e la povertà dilagava. Allo scoppio della Guerra, il calmiere dei prezzi salì drasticamente per indurre gli Italiani a ridurre i consumi. I costi inflitti dall'ingresso delle truppe italiane nei combattimenti,costrinsero a porre un blocco variabile sulle derrate alimentari dei poveri. Questo provvedimento assunse il nome di razionamento, mediante una tessera annonaria. Questa, era una carta strettamente personale che permetteva di ritirare, in base ad età e sesso, varie quantità di alimenti disponibili giornalmente o mensilmente nei negozi. Ogni tessera funzionava a bollini che corrispondevano a determinate quantità di prodotto. Queste ultime erano estremamente minime e bastavano a malapena per la sussistenza dei popolani che facevano a gara per garantirsi una porzione, non sufficiente per tutto il paese. Come conseguenza di questo provvedimento, che durò dal 1940 al 1949, la popolazione contadina dovette cavarsela con i pochi ingredienti che la terra degli avi riusciva a fornire. Le "leccornie" che ne scaturivano prevedevano ingredienti utilizzati ripetutamente per tutte le portate dei pasti. Possiamo ricordare la marieta fresca: fetta di pane, intrisa di aceto e cosparsa di zucchero, lusso che i bambini potevano godersi se la famiglia disponeva del dolcificante. Patate e verze erano una speciale portata che veniva preparata solo a partire dai 15 giorni prima di Natale. In questo periodo infatti, venivano uccise le oche e conservate nelle gelide abitazioni per permettere che frollassero entro il periodo natalizio. Il grasso veniva perciò estratto ed unito al lardo di maiale; questo condimento veniva quindi conservato sino alla primavera per insaporire le verdure. Gli alimenti più comuni però, che venivano riproposti quotidianamente, erano: pane nero, polenta e minestra con fagioli. Il pane nero era una commistione di farine di bassa qualità (segale, crusca, grano) e solo per pochi, che possedevano la coltivazione, farina di frumento; il pane accompagnava qualsiasi altro alimento, se presente. La polenta dava sfoggio di versatilità poiché preparata in varie consistenze durante l'arco della giornata. Al mattino molle, con poche gocce di latte; a pranzo soda a fette; di sera accompagnata da latte o, se in giorni prosperi, con "l'uovo in cereghin", ovvero, leggermente strapazzato. Per sontuosi banchetti, venivano accompagnate a fette di polenta, stracchino o grasso di animale. Pasta e riso venivano attentamente centellinati e concessi di cuore ai più piccoli. La felicità, come possiamo comprendere, giaceva nei piccoli sorrisi quotidiani che si celavano dietro a una fetta in più di pane o a una spolverata di zucchero. Insegnamenti sui quali, la viziata società di oggi, dovrebbe riflettere.
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News » LUOGHI DELLA MEMORIA | mercoledì 26 ottobre 2016
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