PIERMICHELE: PELLE IL ROSSO

01 ottobre 2017

di Andrea Polo

All’anagrafe era nato Piermichele, ma per noi amici e in fondo per tutti, persino per i professori, era e sarà sempre Pelle. Pelle il rosso, Pelle il lentigginoso, Pelle il furbo, Pelle il sorridente, Pelle il latin lover, Pelle quello che somiglia come una goccia d’acqua a Rick Astley. Pelle l’amico.
Ci incontrammo in un’aula del ginnasio che prima di noi avevano frequentato i nostri genitori, i nostri fratelli e tanti altri ragazzi. No, non ci siamo stati simpatici da subito; troppo riservato e serioso io; troppo estroverso e perennemente in voglia di scherzi lui.
Forse per questo, appena abbiamo capito di che pasta eravamo fatti e quanto ci potessimo fidare l’uno dell’altro, non abbiamo mai smesso di starci simpatici e di volerci bene.
Un bene strano, sincero. Che non aveva bisogno di compresenze continue e conferme diverse; era un bene con basi solide che, in pochi anni, unì noi due, ma anche Benedetto, Marcello, Luca e gli altri ragazzi di quella classaccia che era fatta di gruppetti, di persone che non pensavano di avere in aula il loro migliore amico, ma cui la vita ha dimostrato che, a quasi 25 anni dal diploma, se pensi a chi vuoi vedere quando torni a casa, il primo nome che ti salta in mente è di uno dei ragazzi della terza E.
La vita ci aveva portato su strade diverse; io mi ero sposato, lavoravo nel mondo della comunicazione; lui era diventato avvocato e aveva continuato a fare conquiste, fino a che era finalmente riuscito a trovare chi gli regalava la serenità e la felicità che solo l’amore vero sa dare.
Ci incontravamo quasi per caso ogni volta che io rimettevo piede nella mia città, sulla nostra spiaggia. Come facevamo a scuola, quando di nascosto su una panchina del cortile ricopiavamo di fretta la versione che avrebbe dovuto fare il giorno prima, in 5 minuti lui mi raccontava mesi di vita; altrettanto facevo io, ma nonostante con le parole lavorassi, quando ero con Pelle le parole non le usavo, bastava uno sguardo, un suo sorriso che mi riportava indietro a quando giravamo sul suo Garelli grigio.
Pelle amava i motori, non quelli stra-potenti, meglio quelli “particolari”, “vintage”, come il suo Garelli grigio, appunto, o il vespone su cui viaggiava quando il destino lo ha portato via. Era novembre, era notte, o già mattina se preferite.
Fui svegliato da una telefonata. Seppi, non parlai. Non lo feci per ore, forse giorni. Mi faceva troppo male quello che era successo; mi faceva troppo male non essere lì. Passarono mesi prima che, da solo, radunassi il coraggio che mi serviva per andare a trovare Pelle. Davanti alla sua tomba non piansi, lui non lo avrebbe tollerato. Ma risi, perché con lui l’ho sempre fatto. E sempre lo farò. Ciao amico mio, sei il solito, splendido, incredibile buffone cui non si può non volere bene.

 

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News » Il racconto della Domenica - Sede: Nazionale | domenica 01 ottobre 2017