“LA STRADA PERDUTA” DI MAURO OREFICE

08 aprile 2018

di Mauro Orefice

Capitolo I - La crisi

Era un giorno qualunque. Uno di quei giorni anonimi e ripetitivi, come spesso stavano succedendosi nella vita di Maurice. Sveglia intorno alle sette, questa volta la suoneria del cellulare l’aveva sentita forte, quasi ruggente. Doccia veloce, colazione con latte e un goccio di caffè, che ormai aveva imparato a preparare e metabolizzato a sufficienza e cornetto rigorosamente comprato al centro commerciale, in confezione da dieci pezzi. Vestito di tutto punto, ormai lo faceva sempre più spesso, come per compensare una apatia crescente. Uscita di corsa da casa, anche se in perfetto orario, forse per poter saltare i gradini, scendendo come faceva da bambino, superandosi nella somma dei gradini saltati, ogni giorno di più. Entrata in macchina, la sua macchina da poco comprata, suo vanto, la sua prima comprata nuova, non senza sacrificio. Stereo a palla sulla sua stazione radio preferita, rigorosamente rock, una ballade, perché come spesso si ripeteva, la più bella canzone d’amore è una ballata rock. Mezz’ora di tragitto nel traffico, che a differenza degli altri a lui non dispiaceva. Quel disordine lo faceva sentire stranamente calmo, tranquillo, non era niente rispetto all’inferno che aveva dentro. Lui visto da tutti come una persona pacata, sensibile, simpatica. Mai un gesto fuori posto, mai un litigio sul posto di lavoro, anche in situazioni di emergenza. Un perfetto consulente, preciso, tempestivo e rassicurante con il cliente.
Arrivato nel parcheggio, lo aspettava, avendolo visto da lontano, George, suo alter ego, collega di lavoro, istintivo e imprevedibile, il suo opposto. Il suo collega nonché suo amico, era stato sempre al suo fianco, in tutte le battaglie professionali affrontate e nonostante in molti diffidassero di lui, per la sua facile abitudine al cambiare in maniera repentina il suo umore e quindi da reputarsi inaffidabile, per Maurice, era il complice perfetto di tutte le sue strategie lavorative. La giornata proseguiva monotona, come previsto da Maurice ma, evidentemente, George non aveva passato una nottata tranquilla, visto che dopo aver pranzato insieme, beveva il caffè nervosamente e i suoi occhi manifestavano un’agitazione dormiente, di quel sonno perduto a causa di una figlia arrivata troppo presto, in un matrimonio già in crisi, dopo solo un anno insieme alla sua Hanna. Maurice non badò molto allo stato dell’amico, e dopo aver partecipato all’ennesima riunione in ufficio, aveva solo voglia di tornare a casa. All’improvviso il suo cellulare suona senza tregua la sua canzone preferita, It’s only rock’n’ roll but i’m like it. In realtà la riunione era appena terminata e quel suono non fece che anticipare la sua uscita dall’ufficio. Dal display compare il nome di sua madre Rose. Perché stava chiamando? Di solito non lo chiamava mai sul posto di lavoro, per non disturbarlo con quella insistenza poi. Decise di porre fine alla graffiante voce di Mick Jagger e rispose. La voce dall’altra parte era fioca, tremante, Maurice capì a malapena il nome del soggetto citato nella frase appena troncata, nel suono disturbato del cellulare. Non aveva dubbi il nome era, Austin. Suo zio, il suo eroe, colui che lo aveva ispirato per una vita intera, aveva lasciato questa vita. La sofferenza degli ultimi anni si era fatta sentire e non aveva retto alle botte della vita. Maurice passò nel giro di pochi minuti dall’incredulità, alla realizzazione, fino alla rassegnazione del momento. Ma questo passaggio repentino lo aveva turbato, segnato, come se avesse capito che da quel momento in poi niente sarebbe stato come prima. Alla domanda della madre se avesse voluto essere presente e di supporto ai suoi cugini e alla zia, la sua risposta fu un no secco, giustificato dal non sentirsi pronto e adeguato alla situazione. La madre non volle approfondire la questione e si avviò a casa di suo fratello. Nel frattempo Maurice era arrivato a casa, sconvolto, seppur consapevole dello stato dello zio Austin e della sua esasperante lotta contro la malattia che lo affliggeva da tempo. Semplicemente non era preparato a questa notizia. Come un portiere di calcio, il suo amato sport, che non vede passare il pallone sopra la barriera, fino a che non si insacca nel sette con conseguente boato del pubblico presente allo stadio. Lui si sentiva così, frastornato dal quel boato senza aver metabolizzato cosa lo avesse generato, ossia la perdita dell’amato zio. I giorni seguenti furono trascorsi da Maurice, in uno stato di automa, vigile ma non presente a se stesso. Aveva deciso di prendersi un paio di giorni di malattia a lavoro, inventandosi un tremendo mal di stomaco dovuto al lutto subito. In realtà non era così, era sì provato, ma da una apatia diversa dal solito, che nascondeva uno stato di ansia mai provato. Sicuramente al suo stato aveva contribuito sua madre Rose, che lo aveva avvertito dell’orario del funerale, che si sarebbe tenuto in giornata. Lui aveva provato senza troppa convinzione a dire alla madre che non sarebbe andato, che non se la sentiva. Ma sua madre lo aveva anticipato dandogli appuntamento in chiesa. Maurice non ebbe il coraggio di contraddirla anche perché dentro di lui c’era comunque la voglia di salutare suo zio Austin un’ultima volta. La cerimonia fu quasi indolore, Maurice resse fino al momento in cui suo cugino Roger, volle spendere due parole per il suo amato padre perduto. Non l’avesse mai fatto. Il ragazzo elencò i numerosi pregi del padre e la sua forza nell’affrontare la malattia che aveva messo a dura prova lo zio Austin fisicamente ma, soprattutto, psicologicamente. Infatti nella mente di Maurice comparvero le immagini dell’ultima volta che era andato a trovare suo zio che non riusciva a celare una strana apatia non consona al suo carattere si mite ma mai così distaccato. Di colpo Maurice vide in quelle immagini del volto dello zio Austin, la sua stessa apatia. Fu terribile, ma non quanto le parole di suo cugino che sul finire del suo discorso, completò dicendo ciò che spesso suo zio Austin ripeteva a Maurice: Nella vita devi voler bene a tutto e a tutti. Quelle parole suonarono come una lama, nel cuore di Maurice. Finalmente quelle parole avevano un senso. Spiegate così dolcemente da suo cugino, rappresentavano ciò per cui aveva vissuto suo zio Austin, un uomo che amava profondamente il suo lavoro e la sua famiglia. Urgeva un cambiamento di direzione e Maurice senza accorgersene da quel momento in poi avrebbe vissuto una seconda vita, una nuova vita, anzi avrebbe vissuto veramente per la prima volta.
“Il dolore cresce, fuoriesce, è incessante non calante, non si ferma è sulla pelle, arriva alle stelle. È dentro, non lo sopporto, è un trasporto. Respiro, non spiro, dà tregua, mi metto alla sua stregua. Sta passando, non sto giocando. Cessa all’istante ed io torno me stesso ma sono distante.”

 

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