HO DORMITO ALL’ISTITUO DEI TUMORI SENZA ESSERE RICOVERATO

27 dicembre 2017

di Roberto Dall’Acqua

Sono le 20 e 47 di un mercoledì pre natalizio e sono all’interno dell’Istituto dei Tumori di Milano situato in Via Venezian. Sono appena entrato, con passo pacato e, tranquillamente, attraverso tutto l'atrio dirigendomi verso l'angolo di fronte all'edicola interna dell'ospedale. All’ingresso nessuno dei portieri-guardiani mi ha fermato. Perché avrebbero dovuto fermarmi dite voi? Innanzitutto perché non è più orario di visite - qualsiasi accezione si vuole dare a questa parola - e poi perché non sono un frequentatore abituale come dovrebbe essere nota la faccia di chi ci lavora. E poi l’orario: cosa posso mai fare a pochi minuti dalle 9 di sera in questo posto? Escluso cenare o trovare un amico cosa potrei fare? I controlli sono davvero inefficienti: non credo esistano guardie giurate né tantomeno telecamere. Questo fa di questo ospedale milanese - e qui non estendiamo il discorso ad altri luoghi di cura - un luogo davvero insicuro per chi ci lavora e per i pazienti. La mia invidia per i portieri, naturalmente, prende il via perché vorrei essere io al loro posto. Lavoro sicuro, al caldo, sembra apparentemente non particolarmente gravoso (quali saranno mai i compiti di uno di questi signori?), stipendio sicuro e regolare con contratto (da apprezzare in questi tempi di rapporti di lavoro diciamo “fantasiosi”). Questi uomini sono sempre in buon numero - non ne ho visti mai meno di 4 - e spesso intenti a chiacchierare tra loro (sicuramente parleranno di temi lavoratovi). Che invidia! Ma come sono diventati guardiani? Amicizie interne, segnalazioni, colloqui oppure esiste un concorso tagliato su misura per loro? Devo confessare che, all’interno di questo ospedale, ho ricaricato il telefonino (in un luogo ben visibile davanti a uno degli sportelli dell’ufficio ricoveri), assistito a un concerto, appeso volantini in bacheca, approfittato di due buffet. Certo c’era tanto da mangiare ma non ero stato invitato. Qui mi sento a casa e, dopo un lungo periodo di lontananza, ho ripreso a trascorrere qui del tempo. Anche se non ho amici o familiari ricoverati e non devo fare terapie o visite. Forse mi preparo - più o meno inconsciamente - a quello che mi attende il futuro: i miei genitori sono morti a causa di un tumore. Sono convinto che, presto o tardi, tocca a me e qui, oramai, sono di casa. È solo questione di tempo. Intanto, mentre aspetto che arrivi il mio male, perché non mi assumete? Possibile che non possa diventare anche io portiere-guardiano all’Istituto dei Tumori? Questo ospedale è una città nella città ed ha, perfino, i muri più colorati di casa mai che ha mobili e pareti bianche. Sono le 21 e 12 e nessuno mi chiede cosa faccio, seduto tranquillamente davanti l’edicola interna mentre maneggio il telefonino. Potrei andare nel bagno lungo il corridoio e indossare il pigiama, o scendere le scale e trovare un posto ancor più tranquillo dell’atrio. Insomma potrei passare qui la notte, nessuno mi avvisterebbe né tantomeno fermerebbe. Dopo qualche buon’ora di sonno (magari nell’aula magna o su una comoda poltroncina) svegliarmi al caldo e assaporare brioche e caffè al bar (interno naturalmente). Qui il posto è così ampio che mi chiedo perché non si possano ospitare i senzatetto che gemono, in questi mesi freddi, in strada al gelo. Idea balzana; i portieri li fermerebbero? Certo che no perché i visitatori sarebbero muniti di permesso. Permesso che hanno, ovviamente, i guardiani che ora guardano, appunto, la televisione o i monitor dell’ingresso o leggono il giornale. Salvo poi terminare di lavorare alle 7 del mattino di domani, lasciare aprire l’edicola per acquistare il giornale e veder tirare su la saracinesca del bar per gustare la colazione. E poi via a casa a riposare fino al prossimo turno di lavoro. Che invidia! Perché non mi assumete? Prometto che qualcuno lo fermi e gli chiedo che fa! A me fermerei sicuramente, anche se non sono né particolarmente distinto né trasandato. E nemmeno sospetto. Secondo voi che faccio seduto in quest’angolo interno dell’atrio, fra l’edicola e i display delle timbrature? Aspetto perché non ho nulla da fare? Perché sono un maniaco degli ospedali? Perché voglio stare al caldo e odio stare nella mia casa dipinta di bianco? Sono qui, forse, perché ho la moglie infermiera? Quando finisce il turno alle 10 di sera vengo sempre a prenderla. Da solo davanti alla tivù non ci so stare: amo, semi addormentato, ascoltare lei che respira mentre, a poco a poco, i miei occhi diventato tristi “ammirando” le bianche pareti di casa.

 

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